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Le sanzioni Usa all’Iran sono una sfida per le imprese italiane. Report Csc

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È arrivato il momento della scelta. Dagli Stati Uniti è arrivata l’avvertimento: l’esenzione dell’Italia dalle sanzioni americane contro l’Iran non sarà più rinnovata. Bisogna decidere se restare dalla parte di Washington o dalla parte di Teheran. E le compagnie che mancheranno alle regole saranno sanzionate.

In un’intervista a La Stampa, Brian Hook, rappresentante americano per le politiche sull’Iran, ha spiegato che gli Stati Uniti non intendono continuare a esentare le compagnie italiane per le sanzioni sul petrolio iraniano. Quando scadranno i sei mesi di permesso, l’Italia dovrà scegliere se continuare a fare affari con l’Iran oppure no.

Dal raggiungimento dell’accordo, le relazioni economiche dell’Iran con l’Unione europea erano tornate di nuovo forti. A beneficio di entrambe le parti. È per questo che, nonostante la decisione del governo di Donald Trump di uscire definitivamente dall’accordo con l’Iran, i Paesi membri dell’Ue continuano a nutrire interesse nel mantenere l’intesa.

Intanto, le imprese sono al lavoro per verificare gli effetti concreti che avrà il mancato rinnovo dell’esenzione. In una nota del Centro Studi di Confindustria a firma di Tullio Buccellato, Cristina Pensa e Ciro Rapacciuolo, si analizzano le possibilità di sopravvivenza dell’accordo e le implicazioni per l’Italia.

LA SFIDA PER LE IMPRESE

L’Iran è una delle principali destinazioni delle esportazioni italiane. Secondo il report, con le limitazioni americane, il made in Italy dovrà competere in mercati più stretti, con la prospettiva di un’ulteriore riduzione della domanda iraniana legata a quella dell’economia nel suo complesso, già che idrocarburi e prodotti derivati colpiti dalle sanzioni costituiscono quasi la totalità delle esportazioni iraniane, che pesano circa il 24% del Pil iraniano.

“La sfida sarà quindi quella di aumentare le quote per cercare di tenere elevato l’export in valore – si legge nella nota -; le opportunità per l’Italia non mancano: tenuto conto che l’Iran ha una composizione della domanda di beni importati in linea con i prodotti esportati dal nostro Paese, si stima che ci sia un potenziale di 1,7 miliardi di euro contendibile ai principali concorrenti nell’area”. L’import totale dell’Iran nel 2017 è stato di circa 50 miliardi di dollari, con un aumento del settore autoveicoli del 2,9% del 2012 al 6,4% nel 2017, macchinari dal 7,6% all’8,7%, apparecchiature elettriche dal 3,4% al 4,6% e la chimica-farmaceutica dal 3,5% al 4,6%.

Il settore più importante in termine di valore esportato in Iran resta quello dei macchinari, con circa 400 milioni di dollari in più rispetto ai precedenti 1.118 milioni di dollari. Seguono il comparto delle apparecchiature elettriche e quello della chimica-farmaceutica con 245 e 233 milioni di dollari. “Per riuscire ad ampliare la sua quota con successo – aggiunge il report – l’Italia dovrebbe puntare a contendere quote ai propri competitor nei settori in cui essi sono meglio posizionati. Ad esempio, nel settore degli autoveicoli l’Italia si troverebbe a competere con Giappone (quota del 5,0% nel 2017), Francia (10,1%) e Germania (3,8%); l’Italia, con una quota di appena lo 0,5% e in calo rispetto al 2012, ha quindi ampi margini per provare a recuperare il terreno perduto”. Per i macchinari la sfida è molto più difficile, già che la Cina si è consolidata con circa il 40% dell’intero mercato iraniano.

L’IMPORTANZA DEL PETROLIO IRANIANO

In quanto al settore energetico, l’Iran è fondamentale per il mercato internazionale di petrolio e di gas, essendo il quarto maggior esportatore netto di petrolio al mondo, con una quota pari al 7% del petrolio esportato complessivamente. Per cui l’eventuale riduzione di tale fonte di greggio avrebbe secondo gli esperti necessariamente riflessi sull’equilibrio del mercato mondiale del petrolio e, quindi, sul prezzo.

L’Italia è il 10° maggior importatore di petrolio, con un fabbisogno pari a meno della metà della quantità di greggio che fino al 2017 l’Iran è riuscito a vendere sui mercati mondiali. Ma i fornitori sono diversificati sulla mappa geografica. “Acquistiamo da 23 diversi paesi – si legge sulla nota di Confindustria – anche dal continente americano, sebbene i primi 5 paesi contino per il 66,0% (e i primi 10 per l’88,5%). I paesi del Medio Oriente forniscono, compreso l’Iran, il 38,9% del greggio acquistato dall’Italia”. In quando alle raffinerie italiane, è stato sviluppato durante l’ultimo embargo un livello tecnologico che consente di sopperire alla carenza di greggio iraniano, apprezzato per l’alto contenuto di bitumi, processando altri greggi.

Resta però la questione del prezzo del petrolio, che sarà più alto come conseguenza delle sanzioni. E la capacità degli altri fornitori di rientrare nel sistema per integrare la domanda energetica dell’Italia.

 

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