Gli Stati Uniti hanno condotto il loro primo volo “Open Skies” del 2018 e lo hanno fatto sul territorio ucraino, in quello che il Pentagono ha definito un messaggio esplicito alla Russia sull’intenzione americana di non mollare la difesa dell’Ucraina: “Oggi gli Stati Uniti e gli alleati hanno condotto un volo straordinario sotto il Trattato Open Skies [… con] lo scopo di riaffermare l’impegno degli Stati Uniti nei confronti dell’Ucraina e di altre nazioni partner”, riporta una dichiarazione ufficiale del Pentagono – “Gli Stati Uniti sono fermi nel sostegno alla sicurezza delle nazioni europee”.
Il Trattato sui cieli aperti è un accordo internazionale che ha l’obiettivo di promuovere la trasparenza sulle attività militari condotte dai Paesi membri, secondo il concetto dell’osservazione aerea reciproca. Consente alle 34 nazioni firmatarie di sorvolare il territorio degli altri per verificare i movimenti militari e condurre misure di controllo degli armamenti. Il rispetto delle clausole del trattato, ratificato nel 2002, è un’altra questione di scontro tra Usa e Russia, che si accusano vicendevolmente di violazioni e mancato rispetto dei dettami.
Il corrispondente dal Pentagono Aaron Mehta, firma di punta del sito specialistico americano Defense News, spiega che il termine “straordinario” – “extraordinary” nella dichiarazione originale americana – è un’indicazione tecnica, perché nell’ambito del trattato a ciascuna nazione viene assegnata una specifica quantità di voli da richiedere: le richieste straordinarie sono invece quelle che vengono avanzate (in questo caso dagli Stati Uniti) in circostanze particolari e senza preavviso, e che per questo non ricadono tra il numero di sorvoli permessi.
A bordo dell’OC-135B americano, l’aereo che la US Air Force ha certificato per queste attività, oltre al personale degli Stati Uniti, erano presenti osservatori canadesi, francesi, tedeschi, rumeni e britannici, secondo quanto dichiarato dal dipartimento di Stato di Washington. Foggy Bottom aggiunge anche una necessaria e chiara contestualizzazione: “L’attacco ingiustificato russo alle navi militari ucraine nel Mar Nero, vicino allo stretto di Kerč, è una pericolosa escalation in un modello di attività sempre più provocatoria e minacciosa. […] Gli Stati Uniti cercano un miglior rapporto con la Russia, ma questo non può accadere mentre le sue azioni illegali e destabilizzanti continuano in Ucraina e altrove”.
Questione già stata spiegata apertamente dall’ambasciatrice americana all’Onu, Nikki Haley, che aveva parlato domenica 25 ottobre, immediatamente dopo quell’aggressione russa a tre imbarcazioni ucraine, conclusasi con la cattura delle tre unità e l’arresto dei 24 uomini degli equipaggio. Haley spiegava in occasione di una riunione di emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu dopo le azioni russe nel Mar d’Azov (il bacino chiuso dallo stretto di Kerč nell’angolo nord-est del Mar Nero) che il presidente Donald Trump vorrebbe aprire a Mosca, ma non può farlo se la Russia continua a seguire questo genere di politiche e attività aggressive.
Risultato: Trump aveva deciso, per via dei fatti successi in quello spicchio di mare conteso e geopoliticamente caldissimo, di far saltare il faccia a faccia previsto con l’omologo Vladimir Putin a latere del G20 di Buenos Aires. Mosca tuttavia tiene il punto: oggi, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, in Italia per la seconda volta in poche settimane per partecipare alla ministeriale dell’Osce che s’è tenuta a Milano, ha dichiarato inaccettabile la proposta tedesca per ampliare la missione che l’organizzazione per la sicurezza dell’Europa svolge già per monitorare il conflitto nelle due regioni orientali, al Mar d’Azov.
“L’Osce ha un mandato ben preciso in Ucraina che riguarda la terra e non il mare”, ha detto Lavrov. “Nessun mediatore è necessario nel Mar d’Azov e nello Stretto di Kerch”, ha detto Lavrov mandando all’aria il bilaterale di ieri con l’omologo tedesco, Heiko Mass, aggiungendo che il punto importante sta nel rispetto della sovranità territoriale della Federazione Russa e del diritto internazionale, e spiegando che i marinai ucraini saranno processati in Crimea (la penisola che la Russia ha illecitamente annesso nel 2014, sottraendola all’Ucraina) perché responsabili di una provocazione militare all’interno di acque territoriali russe.
Sulla base di questo contesto diplomatico va tarata la tempistica del volo, che diventa notevole anche per altre due ragioni. In primo luogo, arriva solo poche ore dopo che i media americani hanno detto che la US Navy sta preparando un’esercitazione di “libertà di navigazione” attraverso il Mar Nero, vicino al Mar d’Azov – in gergo tecnico vengono definiti “Fonop”, sono passaggi all’interno di territori contesi con cui Washington rivendica la propria presenza all’interno di un territorio oggetto di contese ma tecnicamente sotto il diritto internazionale (qualcosa di simile avviene con una certa costanza nel Mar Cinese Meridionale per mandare a Pechino il messaggio che, nonostante la militarizzazione degli isolotti, la contesa non è chiusa).
Inoltre, arriva pochi giorni dopo che gli americani hanno accusato formalmente la Russia di aver violato il Trattato sulle Forze Nucleari Intermedio, tramite un discorso tenuto dal segretario di Stato, Mike Pompeo, davanti ai parigrado della Nato, in cui ha annunciato un ultimatum di 60 giorni per permettere alla Russia di riallinearsi nel rispetto dell’Inf, dopo di che l’amministrazione Trump ha detto che lascerà l’accordo.