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Perché l’Italia non sarà più esentata dalle sanzioni all’Iran. L’avvertimento di Washington

“Lasciatemi prima dire che abbiamo visto solo conformità in sostegno alle nostre azioni da parte delle compagnie europee: se devono scegliere tra il mercato iraniano e quello americano, sceglieranno sempre l’americano. Perché è molto più grande”. Così Brian Hook, rappresentante per le politiche sull’Iran del governo statunitense, ha spiegato molto chiaramente la situazione a un gruppo di giornalisti, tra cui Paolo Mastrolilli de la Stampa, convocati a New York, nella sede delle Nazioni Unite.

Washington ha riaperto la completa panoplia sanzionatoria contro Teheran da inizio novembre, una mossa annunciata mesi fa, quando il presidente Donald Trump aveva dichiarato l’uscita definitiva degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano; un sistema multilaterale che aveva permesso la riapertura di asset economico-commerciali alla Repubblica islamica in cambio di un congelamento del programma atomico militare.

Hook – da tempo tra i top funzionari del dipartimento di Stato a cui è da poco stato affidato il dossier Iran – era al Palazzo di Vetro di New York perché aveva accompagnato il segretario di Stato, Mike Pompeo, a chiedere una ferma e vincolata denuncia, davanti al Consiglio di Sicurezza (che nel 2015 ha firmato con l’Iran l’accordo sul nucleare), della continuazione del programma iraniano sui missili balistici. La presenza di Pompeo all’Onu, oltre che dettata da una fase di passaggio di consegne tra l’uscente e la nuova ambasciatrice, si lega all’importanza che l’amministrazione Trump dà al dossier specifico e a quello iraniano in generale.

Descritto il quadro, la risposta di Hook alle domande specifiche riguardanti l’Italia sembra scontata. Il rappresentante di Washington ha pubblicamente detto che gli Stati Uniti non intendono rinnovare l’esenzione concessa all’Italia per le sanzioni sul petrolio iraniano. Quando scadranno i sei mesi di permesso (ormai rimasti meno di cinque), Roma dovrà scegliere se continuare gli affari con l’Iran, oppure gli Usa, e – specifica Hook – le violazioni saranno punite dal regime sanzionatorio secondario impostato dagli americani.

Il delegato di Trump per il dossier-ayatollah ha spiegato anche che la concessione all’Italia e ad altre nazioni – i cosiddetti waivers – di continuare a tenere in piedi momentaneamente il traffico era semplicemente legata a un’esigenza di mercato che interessava per primi gli Stati Uniti (“Poca politica e molto business” aveva subito spiegato su queste colonne l’analista dell’Ispi, Annalisa Perteghella). Hook spiega che all’epoca della reintroduzione delle sanzioni il mercato del greggio era “molto fragile”, e “non avremmo svolto bene il nostro compito” se avessimo permesso, stoppando immediatamente le vendite iraniane, un aumento del prezzo. Ora, aggiunge, “siamo riusciti già a togliere dal mercato oltre un milione di barili iraniani tra maggio e novembre” e la concessione di waiver ha fatto sì che il prezzo scendesse: ma “noi pensiamo che nel 2019 l’offerta supererà la domanda” e questo “ci mette in una posizione migliore per accelerare la strada verso le zero importazioni di greggio iraniano”.

Hook fa notare che circa l’80 per cento dei ricavi del regime arriva dalle esportazioni petrolifere, e dunque andare a colpire Teheran su quel fronte è fondamentale, una strategia di massima pressione economica. Poi aggiunge che nel momento in cui ci si mette a far business con l’Iran non si sa mai se quei soldi finiscono nell’economia reale o vanno a finanziare i Guardiani della Rivoluzione, il corpo militare teocratico che è incrostato nella tessitura politico-economica dello stato ed è responsabile delle operazioni all’estero con cui la Repubblica islamica cerca, attraverso la creazione di partiti-milizia all’interno di altri stati regionali, di diffondere la propria influenza in Medio Oriente, anche attraverso opere di destabilizzazione.

“Se vuoi essere serio nella deterrenza di questo Stato, primo sponsor mondiale del terrorismo, devi colpire i soldi, e ciò significa il greggio”, dice Hook a la Stampa. Mastrolilli chiede ancora sull’Italia: come si sta comportando Roma, sta disinvestendo? Ci state monitorando? Hook risponde che ha avuto “buoni incontri” con il governo italiano e fa capire che l’Italia seguirà il dettato americano. Anche se la situazione è complicata da un punto di vista formale: l’Ue sta cercando di tenere in piedi il deal sul nucleare, e ha attivato degli strumenti di protezione per le ditte che stanno lavorando con l’Iran (protezione da quelle misure secondarie americane che potrebbero colpire, sul mercato statunitense, le ditte europee che continuano a fare affari con gli iraniani su aspetti sanzionati).

Negli stessi giorni in cui Hook e Pompeo erano all’Onu, il Cbo di Alitalia, Fabio Lazzerini, annunciava in conferenza stampa da New York, che da gennaio anche la compagnia italiana chiuderà il volo Roma-Teheran – mentre a maggio prossimo sarà riaperto il diretto, con cinque voli settimanali, Fiumicino-Washington Dulles. Alitalia segue British Ariways, AirFrance e KLM che hanno già preso decisioni analoghe dopo la reintroduzione trumpiana delle sanzioni all’Iran. Certe dinamiche sono quello di cui Hook parla quando dice che le aziende europee si muovono “in conformità” e sceglieranno “sempre” il mercato americano (“Washington su certi argomenti tratta da una posizione di forza, e ancora di più adesso, con Trump che vede la politica estera strettamente collegata all’economia, chiede lealtà, fedeltà e trasparenza”, ci fa notare in forma anonima un analista a conoscenza di dossier sensibili su certe dinamiche).


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