L’emendamento al Decreto semplificazione con il quale si vorrebbero sospendere per tre anni le autorizzazioni a prospezioni sottomarine per la ricerca di idrocarburi – in attesa che si individuino le aree ritenute più idonee per tali esplorazioni e quelle invece da interdire – merita una approfondita riflessione che vorrebbe tenersi lontana dalle pur comprensibili polemiche dei contrapposti schieramenti a favore o contro tale decisione. Dovremmo parlare non di animate controversie fra leader politici nazionali e locali, ognuno dei quali legato alle proprie convinzioni, ma di uno degli aspetti più significativi del futuro economico del Paese riguardante la valorizzazione delle sue risorse minerarie che nell’ultimo decennio hanno attirato investimenti di grandi dimensioni come – solo per ricordarne uno dei maggiori – quello di 2,5 miliardi di euro di Total, Shell e Mitsui a Corleto Perticara in Basilicata nel progetto Tempa Rossa, cui la Regione (inspiegabilmente) non ha ancora rilasciato le autorizzazioni per iniziare le attività estrattive già avviabili dall’agosto scorso.
L’intento di coloro che hanno proposto tale emendamento o che lo condividono è quello di salvaguardare gli ecosistemi marini che si teme possano essere interessati da un impatto fortemente negativo generato dalle suddette prospezioni. Il proposito a nostro avviso è sicuramente condivisibile, ma suscita subito una domanda: vi sono o vi sono stati casi in Italia di esplorazioni e successivi sfruttamenti di giacimenti sottomarini che abbiano prodotto danni devastanti alle aree marine ove vengono estratti gas e petrolio? Le zone più vaste ove tali estrazioni avvengono da decenni – come l’Alto Adriatico prospiciente le coste romagnole e la Sicilia sud occidentale – non hanno conosciuto gravi sciagure, come ad esempio quella nel Golfo del Messico di alcuni anni orsono in cui una piattaforma delle British Petroleum andò in fiamme causando un grande e prolungato sversamento di greggio in mare.
In Adriatico le estrazioni di gas al largo della Romagna si eseguono da decenni e le coste di quella regione sono tutt’ora fra le mete turistiche più affermate in tutta Europa. Lo stesso può dirsi per le aree della Sicilia sud occidentale che conservano un loro invidiabile appeal. Ma c’è di più: il polo della navalmeccanica per l’off-shore di Ravenna è divenuto nel corso di lunghi anni uno dei più robusti dell’intero bacino el Mediterraneo – vantando fra l’altro nella costruzione di piattaforme aziende di livello mondiale come la Rosetti Marino – e dopo una fase di rallentamento delle sue attività avvenuto per cause legate alle incertezze normative proprio in materia di autorizzazioni, ha conosciuto negli ultimi mesi un forte rilancio grazie ai nuovi giacimenti reperiti dall’Eni in Alto adriatico al cui sfruttamento la società ha destinato due miliardi di investimenti che ora si teme possano essere congelati.
Ma per molti anni anche al largo di Brindisi sempre l’Eni ha estratto petrolio dal giacimento Aquila a circa ottocento metri di profondità che veniva imbarcato su una nave preposta a stoccarlo per poi avviarlo alla raffinazione; e non risulta che sia mai avvenuto alcun incidente, o che sia stato minimamente deturpato il profilo paesaggistico ed ambientale delle coste del Brindisino. Anche le attività della pesca non hanno subito danni, come non lo hanno subito nell’Alto Adriatico o lungo le coste siciliane.
Si obietta che le prospezioni avvengono con l’uso dell’airgun che è una metodologia esplorativa che può danneggiare i mammiferi marini, ma è anche vero che da tempo si stanno studiando sistemi diversi per l’esplorazione dei fondali. In ogni caso Croazia e Grecia, sempre in Adriatico, stanno favorendo esplorazioni che, se porteranno alla scoperta di giacimenti sottomarini estesi sino alle nostre acque nazionali, con la moratoria imposta in Italia li vedrebbero sfruttati ad esclusivo vantaggio di quei Paesi. Ma anche noi potremmo trarre notevoli vantaggi di varia natura dallo sfruttamento di nuovi giacimenti sottomarini di idrocarburi, ma in realtà ci si sta autoescludendo dal loro godimento. Ha senso tutto questo? Ha una sua razionalità economica? Proprio nel momento in cui il Paese avrebbe bisogno di forzare lo sviluppo endogeno – attraversando una fase macroeconomica internazionale di crescente incertezza – si decide invece di fermare una delle attività che avrebbe effetti indotti (occupazionali, impiantistici, professionali) di assoluto rilievo: a Taranto, ad esempio, con le prospezioni nello Ionio potrebbe ripartire la costruzione di piattaforme off-shore che sino al 2000 erano realizzate dalla Belleli, toccando in periodi di picchi produttivi anche i duemila addetti diretti cui bisognava aggiungere quelli dell’indotto. E così oggi, rilanciando sul breve-medio termine l’off-shore nell’area ionica, si potrebbe avviare il progressivo reimpiego degli esuberi del Siderurgico che non intendano accettare le dimissioni incentivate.
Allora chi scrive ritiene che sia necessario avviare a livello nazionale – auspicabilmente in forme scevre da inutili polemiche – un grande e civile dibattito fra tutte le forze politiche e sociali su scelte che dovrebbero andare nella direzione di valorizzare le ingenti risorse naturali di cui questo Paese dispone on e off shore, naturalmente nel pieno rispetto degli ecosistemi e salvaguardando l’ambiente.