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Huawei, chi è l’uomo d’affari cinese arrestato per spionaggio in Polonia

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Cresce ulteriormente la tensione internazionale tra Occidente e Huawei, il colosso cinese delle telecomunicazioni considerato da Washington un potenziale veicolo di Pechino per ottenere informazioni riservate o segrete. Con una mossa a sorpresa, le autorità di Varsavia hanno annunciato oggi l’arresto per spionaggio di un uomo di affari cinese – un dirigente locale della compagnia di Shenzhen – e di un cittadino polacco, un esperto di sicurezza informatica che secondo i media locali avrebbe lavorato per l’Agenzia per la Sicurezza interna e sarebbe stato anche un consulente della filiale polacca del gruppo francese di telecomunicazioni Orange.

CHE COSA SUCCEDE

Arrestati martedì scorso, i due sono sospettati di aver agito “per conto dei servizi cinesi e a danno della Polonia”, ha precisato Stanislaw Zaryn, portavoce del ministero che coordina i Servizi Speciali. Un tribunale ha deciso oggi di fissare a tre mesi il periodo di detenzione provvisoria per i due uomini, Weijing W. e Piotr D., ha aggiunto Zaryn.
La circostanza è stata commentata anche dal vice del ministro che coordina i Servizi Speciali, Maciej Wasik, citato dall’agenzia di stampa PAP.

LE ACCUSE

Per il momento – scrive il Wall Street Journal, che riporta quanto rivelato da Telewizja Polska – si sa gli agenti dell’agenzia del controspionaggio polacco hanno perquisito gli uffici di Huawei, sequestrando documenti e dati elettronici. Passata al setaccio anche la casa del direttore vendite della Huawei, un cittadino cinese il cui nome non è stato divulgato per ora, ma che sarebbe stato identificato come un laureato in una delle migliori scuole di intelligence della Cina, nonché come un ex dipendente del consolato cinese della città portuale di Danzica. Nell’ambito della stessa indagine, come detto, l’Agenzia per la sicurezza interna della Polonia ha anche arrestato un suo ex dirigente, un cittadino polacco, di cui non ha divulgato il nome e che ha ricoperto il ruolo di vice capo del dipartimento di sicurezza IT dell’agenzia. L’uomo sarebbe stato a conoscenza del funzionamento interno della rete di comunicazioni criptate del governo polacco, che viene utilizzata dai suoi più alti funzionari. Da qui le accuse di spionaggio.

I COMMENTI DI HUAWEI E PECHINO

“Huawei è al corrente della situazione”, ha fatto sapere un portavoce della compagnia cinese, aggiungendo solo che “rispetta tutte le leggi e le normative applicabili nei Paesi in cui opera e che chiede a tutti i dipendenti di rispettare le leggi e i regolamenti nei Paesi in cui sono dislocati”. Pechino si è detta invece “molto preoccupata” per l’arresto del suo uomo di affari e ha chiesto ai Paesi interessati di gestire il caso in modo equo e nel rispetto della legge e di tutelare in modo serio i diritti e gli interessi legittimi della persona coinvolta”.

LE ULTIME NOVITÀ

Questa è tuttavia solo una delle ultime novità sul dossier Huawei. Una divisione del colosso cinese delle telecomunicazioni che ha sede nella Silicon Valley non sarebbe – secondo documenti ottenuti e diffusi sempre dal Wsj – nelle condizioni di inviare in patria alcune tecnologie.
La divisione coinvolta, ha raccontato ieri Formiche.net, si chiama Futurewei Technologies e ha un centro di ricerca e sviluppo a Santa Clara (California) dove lavorano circa 700 unità tra ingegneri e scienziati. A questa realtà il dipartimento americano del Commercio non avrebbe rinnovato una licenza per effettuare esportazioni. E, come accaduto spesso di recente, stando ai file la giustificazione fornita dall’amministrazione Trump già lo scorso giugno è che Washington intende così tutelare la sua sicurezza nazionale. La mossa sarebbe stata contestata da Futurewei – che continua comunque le sue attività, anche perché la maggior parte dei suoi prodotti non richiede una licenza per lasciare il suolo americano -, ma nel frattempo le sue esportazioni sono state vietate.
Oltre alle questioni di sicurezza, resta in piedi anche un altro delicatissimo fronte che vede opposti Stati Uniti e Huawei. Si tratta dell’arresto in Canada (su richiesta degli Usa, che ne chiedono l’estradizione) di Meng Wanzhou, numero due e direttrice finanziaria della telco, nonché figlia del fondatore Ren Zhengfei, ritenuto vicinissimo ai vertici del partito comunista cinese. La donna è stata fermata con l’accusata di aver violato sanzioni Usa legate all’Iran e alla Siria, e documenti ottenuti e diffusi da Reuters sosterrebbero questa tesi, che viene comunque smentita categoricamente dalla società.
Ad ogni modo l’arresto di “Lady Huawei” avvenuto l’1 dicembre per mano del Canada non è sceso giù alla Cina, che ha risposto fermando oltre 10 cittadini canadesi tra i quali Michael Kovrig, un ex diplomatico, e Michael Spavor, un imprenditore con forti legami con la Corea del Nord. E sebbene questi arresti sarebbero ufficialmente frutto di timori per “la sicurezza nazionale”, gli addetti ai lavori evidenziano come resti il sospetto che siano una reazione alla detenzione di Meng.
Che Pechino viva questa situazione come un affronto lo ha chiarito nuovamente l’ambasciatore cinese a Ottawa, Lu Shaye, che in una lettera pubblicata dal Hill Times ha accusato proprio il Canada di “egoismo occidentale” e “supremazia bianca” per la reazione all’arresto dei suoi cittadini, per i quali chiede un “doppio standard”.
Nel frattempo, però, il fronte anti tecnologia cinese si allarga. Dopo Stati Uniti, Australia, Giappone e Regno Unito, Huawei rischia di vedersi estromessa anche dal mercato tlc norvegese. Nel Paese, infatti, si è aperto un dibattito sulla possibilità di vietare all’azienda cinese la realizzazione e l’installazione di nuove infrastrutture per le reti 5G (una riflessione che Washington ha chiesto anche ai suoi più stretti alleati europei).

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