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Bene “Resto al Sud”. Ma a che punto sono gli investimenti?

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Nella legge di Bilancio approvata definitivamente dalla Camera fra le altre misure ve ne è una in particolare destinata al sud che è già stata sperimentata positivamente, essendo stata a suo tempo voluta dal governo Gentiloni e in particolare dall’allora ministro per il Mezzogiorno Claudio De Vincenti.

Ci si riferisce all’incentivo riservato ai giovani residenti nel sud a costituire nuove iniziative imprenditoriali, finalizzate a consentirne la permanenza nelle regioni meridionali costituendovi delle imprese e ricevendo un contributo sino a 50mila euro dopo un’istruttoria tecnica del progetto aziendale compiuta da Invitalia. Prima la misura era riservata a giovani under 36 anni, mentre ora la si estende a persone sino a 45 anni e ai liberi professionisti.

Sino ad ora – stando almeno ai dati ufficiali comunicati dall’Agenzia che istruisce e ammette al finanziamento le pratiche ad essa presentate – la misura avrebbe avuto successo, consentendo la creazione di circa 8.200 nuovi posti di lavoro: un dato, a nostro avviso, sicuramente interessante e positivo che, pur nei suoi limiti – lo diciamo alla luce dell’ancora elevato tasso di disoccupazione giovanile (e non) esistente nel Mezzogiorno – ha fatto emergere un’attitudine microimprenditoriale in gruppi giovanili non del tutto marginali presenti nei suoi territori.

Certo, poi bisognerà verificare (accuratamente) quante di quelle microaziende riusciranno a restare realmente sul mercato, a crescere e ad affermarsi in dimensioni più solide. Ma conta rilevare la buona volontà di coloro che si sono cimentati nelle proposte, fra i quali potrebbero esservi talenti ancora inespressi e bisognosi solo di manifestarsi.

Bene dunque, esprimiamo un apprezzamento alla misura e all’ampliamento della sua possibile utenza, così come nei giorni scorsi abbiamo espresso apprezzamento per il bonus occupazione per il meridione che è stato riproposto nella nuova legge di Bilancio. Detto ciò, è altrettanto doveroso sottolineare – lo abbiamo scritto nei giorni scorsi su questa testata – che il governo potrebbe fare molto di più in favore delle regioni meridionali, anche con interventi a costo zero: 1) accelerando la spesa dei fondi comunitari 2014-2020, soprattutto dei ministeri, qualcuno dei quali marca ritardi ormai incomprensibili (e intollerabili) nella velocità di impiego di quanto di sua competenza: e una rapida verifica della presidenza del Consiglio individuerebbe facilmente dove si annidano ritardi, lentezze, incertezze operative che rischiano – è bene saperlo – il definanziamento di determinati interventi, ad esempio in materia di infrastrutture portuali, ferroviarie e stradali.

Inoltre, andrebbe subito riconvocato il tavolo dell’auto, perché le misure prese dal governo hanno incontrato l’opposizione di tutte le associazioni di categoria: una opposizione che ha nel Mezzogiorno un fondamento specifico, dal momento che le due più grandi fabbriche italiane di automobili (entrambe della Fca) sono a S. Nicola di Melfi in Basilicata (7.400 occupati, più 4.200 nell’indotto di primo livello), e a Pomigliano d’Arco in Campania (4.749 diretti, più l’indotto). Le vetture che vi sono costruite (500X, Jeep Renegade e d’ora in poi anche la Jeep Compass a Melfi, e Panda a Pomigliano con il prossimo Suv Alfa Romeno) non dovrebbero subire penalizzazioni con il malus, almeno in teoria. I vertici della Fca hanno peraltro iniziato massicci investimenti per giungere entro il 2020 a versioni ibride delle auto che vi sono assemblate, ma riconoscere un incentivo (sia pure modulare) a chi oggi acquisti auto elettriche o ibride, non rischia di danneggiare proprio le produzioni della Fca che, certo, è arrivata in ritardo alle motorizzazioni alternative a benzina e a diesel, ma che comunque è impegnata in un grande piano di investimenti per colmare questo ritardo. E nel frattempo? Incentiviamo la concorrenza straniera? E l’occupazione nelle fabbriche italiane e in quelle del sud? È così difficile comprenderlo al ministero dello Sviluppo Economico? E se, come ci auguriamo, non lo è, si riconvochi allora (e subito) il tavolo dell’auto che potrebbe anche portare a una disattivazione delle misure assunte in legge di Bilancio.

Sarebbe necessario inoltre accelerare l’avvio delle Zes-Zone economiche speciali, già riconosciute dal precedente esecutivo con Dpcm per Campania e Calabria, e in via di riconoscimento per le due della Puglia, l’Adriatica – cui si è aggregato il Molise – e la Ionica che abbraccia aree pugliesi, gravitanti sul grande scalo portuale di Taranto, e della Basilicata. Ma il governo deve approvare anche il Dpcm riguardante la semplificazione delle procedure autorizzative degli investimenti, alla luce delle quali anche i Comuni e le Regioni potranno adeguare le loro, se per caso le avessero già assunte.

Certo, chi scrive – avendo lavorato per sei mesi su incarico della Regione Puglia ai piani di sviluppo strategico delle due Zes regionali – non nutre soverchie illusioni sull’efficacia, almeno a breve termine e ai fini della crescita di singole zone del sud, dello strumento delle Zes, per una serie di precise motivazioni su cui si potrebbe tornare sopra, anche perché nel Mediterraneo, in Europa e nel mondo ne esistono da anni già tantissime, pienamente operative e che sono pertanto molto più competitive di quelle istituite o istituende nel Mezzogiorno. Ma questo, a nostro avviso, sarebbe un motivo per accelerare le procedure attuative e operative, e non invece per rallentarle, alimentando magari il retropensiero di qualcuno (nell’esecutivo e altrove), il quale ritiene che servano a poco. Bisognerebbe al contrario focalizzarne le criticità e risolverle con impegno.

Così come gli investimenti previsti o avviati dalle grandi aziende pubbliche a che punto sono? La conversione ad esempio della raffineria dell’Eni a Gela in Sicilia a bioraffineria a che punto è del suo cronoprogramma di realizzazione? E gli investimenti elevati previsti in Sardegna nel suo grande polo minerometallurgico per le aziende Portovesme, Alcoa ed Euroallumina? E gli investimenti previsti e in corso per il Contratto istituzionale di sviluppo per l’area di Taranto, già promossi da lungo tempo dai governi Renzi e Gentiloni – e in parte in corso e per qualcuno già conclusi – a che punto sono? Nella legge di Bilancio per il 2019 inoltre sono stati stanziati altri 300 milioni per il capoluogo ionico, finalizzati ad una non meglio precisata “riconversione della sua economia”. Bene, ma vi sono almeno delle idee guida al riguardo? Esistono progetti che possano essere rapidamente cantierizzati sia pure nella direzione prima richiamata? Al momento, bisogna registrare con grande favore nel capoluogo ionico i massicci interventi già partiti di Arcelor Mittal, tramite la controllata Am Investco Italy, nel grande stabilimento siderurgico.

Allora Regione per Regione, in un dialogo sperabilmente costruttivo fra presidenza del Consiglio, ministero per il Mezzogiorno, Regioni e Città metropolitane del sud e partenariato sociale, si focalizzino i ritardi se e là dove esistenti (come temiamo), se ne individuino le cause e ci si sforzi di rimuoverle.

Del resto non avrebbe senso, ci sembra, favorire la microimprenditorialità con la misura “Resto al Sud” e poi lasciare che il blocco o il rallentamento di certi grandi investimenti pubblici induca molti giovani (e meno giovani) a lasciare egualmente il Meridione, o almeno alcune sue aree, ove pure le potenzialità di crescita sono tuttora notevoli.

 

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