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Mps, perché l’uscita del Tesoro non sarà facile

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Ci sono almeno due dossier bancari scottanti all’orizzonte del governo, una partita doppia nella quale non bisognerà fallire il colpo. Carige e Mps sono due banche, di diverse dimensioni e peso specifico, su cui l’esecutivo gialloverde è in manovra (qui l’intervista al consigliere di Giovanni Tria, Pasquale Lucio Scandizzo). In attesa di capire il destino della prima (fusione? Nazionalizzazione?) sulla quale il governo è intervenuto con apposito decreto per garantire le emissioni di capitale fino a 3 miliardi, è Siena a preoccupare in queste ore. L’istituto più antico del mondo è in cerca di punti fermi in un mare di incertezze. Uno di questi potrebbe essere l’uscita del Tesoro dall’azionariato con la conseguente restituzione della banca al mercato.

Mps è infatti una banca pubblica a tutti gli effetti visto che il ministero dell’Economia ne è azionista al 68%, dopo il salvataggio da 5,4 miliardi conclusosi nel 2017. Ma le cose sono destinate a cambiare, visto che la stessa Europa non ha intenzione di accettare a lungo uno schema che vede il terzo gruppo bancario italiano in mano statale. Dunque, e al Tesoro si stanno già muovendo come riportano alcune odierne indiscrezioni di stampa, l’azionista pubblico presto o tardi passerà la mano, restituendo Mps al mercato o traghettandola tra le braccia di un altro istituto.

Per il momento però sono poco più che buone intenzioni perché l’operazione, di per se, è complicata. Sono ormai dieci anni che la banca senese è sull’orlo del precipizio con alle spalle ben quattro aumenti di capitale dal 2008 al 2017.  Il problema è che lo Stato dovrà ancora una volta fare i conti con un gruppo che non gode certo di buona salute e che oggi vale molto meno rispetto al momento della nazionalizzazione. Ma nonostante tutto ci sarebbe la volontà di organizzare l’uscita dal capitale. A breve infatti potrebbero partire i sondaggi tra i principali operatori per definire una roadmap da presentare a Bruxelles e alla Bce.  La prossima scadenza importante è quella di giugno, entro cui il ministero dell’Economia  dovrà infatti illustrare alla Commissione Ue la strategia di disimpegno in vista della scadenza ultima del 2021.

Va bene, ma chi è disposto ad aggregarsi a una banca che presenta ancora delle criticità? Solo pochi giorni fa la stessa Rocca Salimbeni ha fatto sapere di aver ricevuto una missiva a novembre in cui veniva imposta l’accelerazione sulla tabella di marcia per lo smaltimento degli npl. Al netto dell’ennesimo crollo in Borsa, il siluro arrivato da Francoforte chiarisce un punto: la pulizia di bilancio è per Mps (ma non solo) ancora in cima all’ordine del giorno, dunque prima si rimettono a posto i conti e poi si pensa a una fusione. Non è tutto.

Un altro passaggio delicato è il collocamento del bond da 750 milioni lanciato questa mattina (scadenza 2024) con cui Siena punta a raccogliere soldi dal mercato. L’emissione segna il ritorno sul mercato per Mps dopo una sosta di quasi un anno e ad oggi gli ordini hanno superato i 2 miliardi di euro. Un ultimo, delicato, step è la ripresa del titolo. Da giugno, mese dell’insediamento del governo pentaleghista che ha segnato l’inizio dell’impennata dello spread, la banca guidata da Marco Morelli ha perso moltissimo sui listini, oltre il 25%. Un elemento di cui il Tesoro non potrà non tener conto in vista del suo addio.

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