Il ruolo da protagonista svolto dal sistema bancario nella rivoluzione digitale è indubbio. L’essere state promotrici e protagoniste della rivoluzione tecnologica pone le banche al riparo da qualunque critica di conservatorismo, di difesa di rendita di posizioni o di freno allo sviluppo dell’economia “del futuro”. Rende, d’altra parte, possibile una lettura critica di quello che accade in questa epoca e dei rischi ai quali si va incontro. Il sistema bancario, di fatto, ha guidato l’innovazione. I servizi e i prodotti finanziari che sono stati ideati, realizzati e messi a disposizione dei clienti, attraverso le nuove piattaforme tecnologiche, hanno fatto sì che miliardi di transazioni di una quantità impressionante di denaro possano, oggi, viaggiare tra i soggetti economici, abbattendo ogni limite di spazio e di tempo in maniera semplice ed economica. L’introduzione del bancomat e della carta di credito, hanno, addirittura, preceduto, e di molto, nel proprio ambito di competenza, l’avvento di internet.
Questo protagonismo non deve però produrre la perdita del senso critico ma, al contrario, può rendere più libera e disinteressata la denuncia dei pericoli ai quali va incontro, non tanto e non solo il sistema bancario, ma l’intero sistema economico e con esso il pensiero umano. È sempre più chiaro, ma non con la dovuta consapevolezza, come l’intelligenza artificiale stia concretamente snaturando il pensiero umano. La rivoluzione digitale sta, infatti, trasformando il capitalismo che ha regolato il mondo nel secolo scorso garantendo all’umanità crescita e benessere, ma sempre e comunque all’interno di chiari e ben definiti “binari morali” frutto dell’insegnamento della tragedia della Seconda guerra mondiale e dell’orrore dei regimi totalitari. Si tratta però di una trasformazione che non promette nulla di buono e che, in un certo qual modo, paradossalmente, ripropone il rischio di un nuovo, seppur diverso, autoritarismo. La nostra società è sempre più dominata da egoismo e arrivismo frutti avvelenati di un dominio inarrestabile e senza precedenti del capitale, del denaro e del profitto per raggiungere il quale non esiste alcuna regola etica o morale.
Ogni contrasto è esasperato e viene vissuto come definitivo. La preziosa arte della mediazione è stata abbandonata e con essa sono stati distrutti i corpi intermedi della società che hanno svolto un ruolo fondamentale per la tenuta dell’intero sistema. Quella che si va costruendo è una società senza memoria e senza storia e che, per questo, mette in pericolo valori che sembravano acquisiti per sempre quali la libertà, la pace sociale e la democrazia. Buona parte della tecnologia ha favorito l’ascesa del “capitalismo della sorveglianza” nel quale l’elaborazione senza alcun principio etico – non si può certo chiedere alle macchine di essere portatrici di principi etici – di dati personali (attività, interessi, gusti…), governa ogni scelta del mercato, dell’economia e, in conclusione, dell’essere umano. L’algoritmo al potere determina – c’è il rischio che determinerà sempre di più – la completa disumanizzazione dell’economia, della società e dei rapporti tra le persone.
È possibile invertire questa traiettoria? Un aiuto e un esempio possono arrivare proprio da quel sistema bancario che – come detto – della rivoluzione tecnologica è stato una delle realtà protagoniste. Alla banca, infatti, per la composizione della propria struttura che è fatta di persone, per la natura della propria attività, per il percorso e il ruolo che ha svolto all’interno del sistema industriale, è richiesto di supportare il cliente, la famiglia, l’impresa, nella gestione dei bisogni e dei desideri in maniera del tutto differente da quello che può fare il più avanzato degli algoritmi avendo come centro la persona umana e non il profitto di una lontana e impersonale multinazionale.
La spersonalizzazione dei rapporti inter-individuali, inevitabile conseguenza della rivoluzione tecnologica, ha aperto un vuoto enorme che è necessario colmare con una presenza umana e moralmente qualificata che sia in grado di garantire le necessità dei protagonisti dell’economia tenendo però sempre presente che si tratta di persone umane anche nella loro veste di risparmiatori e investitori. Ecco, dunque, che il rapporto fiduciario, basato sulla conoscenza reciproca e su rapporti umani che l’algoritmo non può e non potrà mai avere, continuerà ad essere necessario e vitale per l’esistenza di un’economia dal volto umano e della stesso homo oeconomicus “economico” ma pur sempre “uomo”.