I dipendenti degli uffici federali americani coinvolti nello shutdown non riceveranno il secondo stipendio dell’anno. Lo stallo nelle trattative tra Congresso e Casa Bianca, o meglio tra democratici che controllano la Camera e repubblicani che sono il partito di governo, non s’è ancora sbloccato. Lo shutdown è ormai oltre ogni record, il più lungo della storia (dura da un mese), sebbene non sia quello che coinvolge più lavoratori.
Il clima è piuttosto teso, per la maggior parte degli americani la colpa ricade sulle spalle del presidente Donald Trump, che ormai ha fatto della questione un duello rusticano su cui si gioca il suo onore. Ieri ha ringraziato pubblicamente i patriottici dipendenti statali che lavorano senza paga.
To all of the great people who are working so hard for your Country and not getting paid I say, THANK YOU – YOU ARE GREAT PATRIOTS! We must now work together, after decades of abuse, to finally fix the Humanitarian, Criminal & Drug Crisis at our Border. WE WILL WIN BIG!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 21 gennaio 2019
In realtà il Congresso ha già approvato una normativa per ripagare, appena riavviati i lavori regolarmente, le due mensilità mancanti, ma il fondo è bloccato per via dello shutdown. Situazione più complessa per tutti quegli appaltatori che dal blocco parziale delle attività federali vedono saltare contratti e pagamenti. Ancora peggio, invece, per chi ha bisogno di servizi assistenziali, congelati. E il Midwest è sotto un’ondata di freddo extra, con i tecnici del servizio climatico nazionale che forniscono bollettini, ma vanno avanti senza fondi. La scorsa settimana, il Consiglio degli advisor economici della Casa Bianca ha ammesso, in rottura col presidente, che lo shutdown ha prodotto una mini-crisi economica peggioro del previsto – percezione chiara tra i cittadini, che secondo un sondaggio di Survey Monkey stanno aumentando le loro preoccupazioni per la situazione economica.
Trump vuole il Muro, chiede i soldi per finanziare l’opera che dovrebbe sigillare il confine col Messico e mettere fine a quella che chiama una “crisi umanitaria” e tenere fuori criminali e droga. Ma i democratici non intendono accettare compromessi su questo terreno. Due giorni fa, i Dem guidati dalla Speaker della Camera, Nancy Pelosi, e dal leader della minoranza al Senato, Chuck Schumer, hanno rifiutato l’ultima delle offerte fatte dal presidente. Trump prometteva permessi di soggiorno temporanei a 300mila persone (tutte provenienti da paesi colpiti da disastri naturali o guerre) e ulteriori tre anni di permessi di lavoro per altri 700mila immigrati irregolari entrati negli Stati Uniti quando erano bambini, i Dreamers (a cui era stato lo stesso Trump a togliere diritti concessi dal DACA).
Pelosi e Schumer hanno rifiutato l’offerta: “Non [è] un compromesso, ma piuttosto una presa di ostaggi”, l’ha definita il senatore. Po il rilancio: mettere un miliardo extra sui fondi per i Border Patrol. Nessuno dei due lati accetta negoziati, ma si propongono offerte e controfferte che l’altro dovrebbe accettare e basta. I due Dem battono forte sul peso che la maggioranza ricevuta alla Camera dopo le Midterms ha nel sistema bicamerale americano. Sanno che possono bloccare la legge di bilancio e mantenere il governo in parziale chiusura, rallentarne le azioni, e farne sentire il peso sulla cittadinanza, incolpando Trump, che, cocciuto (dicono loro), non vuol rinunciare ai 5,7 miliardi di dollari extra per il Muro. Finché dura, va: per il momento i sondaggi danno ragione ai democratici, la percentuale di americani che ritengono Trump colpevole dello stallo è alta, ed è tutta acqua che arriva al mulino dei Dem in lancio verso il 2020, anno presidenziale.
Il livello dello scontro politico negli Stati Uniti è ormai sceso al punto ripicche & rappresaglie, con entrate e gamba tesa e scivoloni di basso livello. Nei giorni scorsi il presidente Trump ha cancellato – e rimandato a data da decidere – un viaggio che avrebbe portato la speaker della Camera, Nancy Pelosi, a Bruxelles e poi in Afghanistan ed Egitto. Lo stop al tour internazionale della democratica è arrivato un’ora prima dell’imbarco. La Casa Bianca ha spiegato, attraverso la portavoce Sarah Sanders, che quello che ha portato il presidente alla decisione è stato lo shutdown.
Trump ha detto: “Sono certo che [Pelosi] sarà d’accordo nel ritenere totalmente appropriato rimandare queste relazioni pubbliche”, e ha invitato la leader del Partito Democratico a restare a Washington per lavorare su come risolvere la questione della chiusura degli uffici del governo federale che si protrae da oltre un mese.
Il tutto tramite lettera pubblica, arrivata come una dimostrazione di forza appena il giorno dopo di quando Pelosi aveva consigliato a Trump un altro rinvio, quello del Discorso sullo Stato dell’Unione. La democratica aveva invitato il presidente a far slittare l’appuntamento col Sotu previsto per il 29 gennaio.
Il discorso è un momento annuale solenne delle politica americana in cui il presidente fa il punto sulla situazione e programma il futuro, a maggior ragione adesso con la corsa per le presidenziali del prossimo anno praticamente già avviata. La lettera con cui Trump ha negato il viaggio a Pelosi è programmatica: anticipa come sarà questa prossima campagna elettorale. Così come lo è il muro democratico sulle trattative.