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Gli stipendi dei parlamentari tra l’utopia di Grillo e lo strabismo di Di Maio

Luigi Di Maio, Beppe Grillo

Due interventi distinti e contrapposti sui rispettivi blog: da leggere in controluce. Da un lato Beppe Grillo, che esce dal suo corpo e diventa pensiero puro. Dall’altro Luigi Di Maio, in compagnia di Alessandro Di Battista, quasi silente, in un breve saluto di buon anno, le cui implicazioni politiche non possono, tuttavia, sfuggire. L’istrionismo del primo resta una caratteristica del personaggio. Un montaggio in cui la testa del comico, ripresa da un telefonino, poggia su un corpo palestrato. La contrapposizione tra un pensiero puro, che si estranea dalla propria esistenza terrena e spazia nell’iperuranio. Ormai sono puro futuro: recita la sua voce. Le cose di questo mondo non sono più un corollario della sua esistenza.

Solita affabulazione: si potrebbe dire. Se Grillo non fosse anche il vero artefice della nascita di un movimento che, in pochi mesi, è uscito dai sottoscala per conquistare Palazzo Chigi. Se le cose dette hanno un senso. E Grillo, nonostante il suo linguaggio, non si limita alla sola parodia, l’impressione che si ha è quella di un crescente disincanto. Del resto solo qualche settimana fa aveva dichiarato di non comprendere più quello che stava accadendo. En attendant Godot: aveva confessato. L’arrivo di un personaggio che, com’è noto, nella pièce di Samuel Beckett non calcherà mai la scena. Ma non era stato forse lui uno dei principali selezionatori di quella classe dirigente, che oggi gestisce il Paese, e nella quale non sembra più riconoscersi?

Completamente diversa la prosa di Luigi Di Maio. All’insegna della più pura cattiveria, sotto un sorriso di circostanza. Abbiamo “combattuto quella classe di italiani privilegiati – questo l’incipit – che si è opposta al cambiamento. Quella classe privilegiata che ci sta combattendo anche in questi giorni, perché stiamo bloccando le pensioni d’oro”. Poco più di ventimila persone, secondo la relazione tecnica presentata alla legge di bilancio. Meno dello 0,003 per cento della popolazione italiana: per dipiù oberata dall’età e spesso in precarie condizioni di salute. Se questi sono i nemici del cambiamento per cui vale la pena combattere, c’è da dubitare della forza intrinseca di quella prospettiva.

Del resto lo si è visto con chiarezza nell’individuare chi ha bloccato il saccheggio delle pubbliche finanze. Dopo le virulenti dichiarazioni contro l’Europa, il diktat della Commissione ha fatto rinfoderare le spade di latta e costretto i prodi guerrieri a chinare il capo. Hanno dovuto accettare non solo di ridimensionare le pretese, ma di mettere a bilancio una manovra ipotetica di quasi 50 miliardi, per il prossimo triennio, al fine di scongiurare – se mai saranno capaci – un aumento dell’Iva, che rischia di essere distruttivo. Ma questo è stato già dimenticato. Meglio individuare nuovi nemici su cui mobilitare militanti sempre più delusi dalle politiche effettivamente perseguite.

Ed ecco allora l’obiettivo della nuova grande battaglia: “Vi regaleremo una bella legge che taglia gli stipendi a tutti i parlamentari della Repubblica” promette il vice presidente. Può essere più o meno opportuno: non lo discutiamo. Ma nel momento in cui il Paese avanza a passi da giganti verso un possibile tracollo, può essere questa la priorità del numero uno (Matteo Salvini, in questa fase, è solo il socio di minoranza) della maggioranza parlamentare? Le preoccupazioni maggiori non dovrebbero riguardare la recessione prossima ventura, la disoccupazione che cresce, le incertezze del mondo bancario, il commissariamento della Banca Carige posta dalla Bce in amministrazione controllata? Con la Borsa che apre in picchiata, perdendo quasi il 2 per cento.

Uno strabismo evidente che merita una qualche spiegazione. Qual è l’universo culturale che legittima posizioni di questo tipo? Una vendetta plebea contro tutti coloro che per fortuna, censo o capacità individuali hanno avuto una vita migliore. Che poi dietro tutto ciò vi sia stato quel “lavoro tenace, coerente, lungimirante” che “produce risultati concreti” di cui ha parlato Sergio Mattarella, nel suo discorso di fine anno, conta poco. Hanno ottenuto quel che volevano e, per questo, devono essere puniti. Per i pensionati è stato facile, almeno per il momento. Vedremo cosa deciderà la Corte Costituzionale. Erano pochi. Facile abbandonarli a sé stessi, nel momento in cui lo stesso Presidente della Repubblica è stato, in qualche modo, costretto ad avallare le scelte di bilancio, senza poter entrare nel merito delle singole disposizioni.
Ma per il Parlamento sarà diverso. Occorrerà uno specifico provvedimento che andrà vagliato ed analizzato, senza la spada di Damocle della minaccia dell’esercizio provvisorio. Facile prevedere: ne vedremo delle belle. Ma quel che più conta sarà l’interrogativo sotteso a questa proposta. Chi deve rappresentare il popolo italiano? Di Maio pensa ad un esercito di soldatini – ma già ora monta la fronda contro le espulsioni appena decise – pronti a pigiare il bottone, su semplice richiesta del Capo. Non ha quindi bisogno di personale qualificato. Gli basta pescare nelle grandi periferie, per reclutare un “esercito di miracolati dalla politica”. Pronti all’obbedienza e senza alcuna coscienza individuale. Che, quindi, non si pongono il problema di abbandonare professioni redditizie o faticosi percorsi individuali. Per realizzare – questo il punto – una selezione a ribasso della futura classe dirigente del Paese.
Questa prospettiva non fa parte della storia complessiva del nostro Paese: dall’Unità d’Italia fino a ieri. In passato le forze popolari italiani – dalla DC al PCI, per non parlare dei socialisti o delle altre formazioni laiche – hanno sempre respinto un discorso esclusivamente plebeo. Lumpen: come dicevano i classici. La costruzione dal basso di un movimento politico non poteva prescindere dall’apporto degli intellettuali. Dalla conquista di quelle “casematte”, come sosteneva Antonio Gramsci, su cui si costruire l’egemonia necessaria. Operazione tanto più indispensabile oggi: nel momento in cui le istituzioni restano il principale (se non l’unico) strumento di aggregazione politica. Di Maio con il suo discorso sugli stipendi da tagliare – nemmeno si trattasse di un’azienda in crisi – riduce tutto questo ad un semplice problema di lotta contro i privilegi. E’ solo il riflesso del suo universo esistenziale. Una concezione minoritaria che si colloca al di fuori dei confini dell’Occidente.


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