“Su trivelle e Tap il punto non è tanto schierarsi apriosticamente per il sì o per il no, quanto avere una capacità e una visione per giustificare fino in fondo quelle scelte: ciò che in questo momento manca al governo italiano”. È la lettura che il giornalista Carlo Vulpio offre dell’emendamento blocca trivelle prodotto dal Mise, contestando la mancanza di una strategia di insieme che consenta di guidare la decisione presa. Vulpio, giornalista, inviato e scrittore, (autore de “L’Italia nascosta” pubblicato da Skira) in questa conversazione con Formiche.net perimetra il ruolo delle moratorie ideologiche e l’influenza sull’esecutivo dei veti ultra ambientalistici.
Che succede dopo l’emendamento?
Le prime conseguenze saranno penalizzanti per chi ha ottenuto le concessioni e toccano l’aspetto più industriale della faccenda. Ovvero vedersi prima approvare le concessioni per le prospezioni, poi cassate, poi riammesse: significa incertezza totale e soprattutto un’assenza di visione ambientale, industriale ed economica del nostro Paese. Visioni che non sono affatto in conflitto tra di loro, perché in presenza di una visione industriale chiara ci può essere una visione ambientale altrettanto chiara.
Invece?
Invece questa ennesima retromarcia dimostra anche che non si sanno distinguere le cose. Non comprendono che una ricerca in sé, in mare o altrove, non è necessariamente il bene o il male in assoluto. Bisogna capire che probabilità ci sono di trovare ciò che si cerca, se ciò che si trova compensa gli sforzi compiuti e i necessari guasti arrecati in casi del genere. Porto l’esempio del gas metano ricercato nel Mediterraneo orientale, in Israele, Egitto e Cipro. I tre giacimenti individuati potranno far fronte al fabbisogno interno egiziano per i prossimi 30 anni, potranno stimolare l’economia israeliana a cui i paesi arabi embargano gli idrocarburi, e potranno consentire a Cipro di risolvere la questione dell’occupazione turca nella parte nord non riconosciuta dalla comunità internazionale. Per cui in questo caso il gas ha anche altre finalità.
E venendo a noi?
Non so quanto la prospezione in Adriatico sia redditizia, per cui non si può sostenere che dal momento che lo fanno in Grecia, in Croazia o in Albania, allora dobbiamo farlo anche noi. Il problema è che di tutte queste premesse il governo non si è interessato e non possono ovviamente inventarsi, dall’oggi al domani, una classe dirigente dotata di competenza e visione. Per cui dopo il referendum sulle trivelle, che fu inutile non in quanto tale ma perché figlio di un disegno di progressivo depauperamento delle sedi istituzionali e della democrazia rappresentativa, ecco la marcia indietro del Mise. Adesso il nodo verte anche tre nuove concessioni.
Quali?
Quelle concesse dall’attuale governo. Per cui quando il vicepremier grillino asserisce che si sta ratificando una decisione presa dal governo precedente, o mente sapendo di mentire oppure non gli hanno spiegato che vi erano anche altre prospezioni firmate dal governo di cui fa parte. E tenta di mettersi al riparo della giustificata protesta della base, arrabbiata per i continui voltafaccia e in cerca di punti di riferimento più stabili e trasparenti. Ma dal male di ieri siamo passati al peggio di oggi.
Nel Mediterraneo orientale si accelera, su Tap e Eastmed, con gli accordi già siglati: l’Italia cosa rischia con la politica delle moratorie ideologiche?
In assenza di idee chiare e di una spina dorsale che può derivare solo da una base di competenza e programmazione, ecco spuntare le moratorie. Ovvero non si sceglie tra la strada A o quella B, ma si sospende tutto per tre anni in maniera assolutamente “italiana” per poi rimandare una decisione. Un modus di cui ci siamo lamentati per moltissimi anni ma che ritorna.
E fra tre anni?
Tutto tornerà al punto di partenza con le aziende che hanno avuto le concessioni a reclamare giustamente la licenza ricevuta, senza escludere un numero crescente di ricorsi giudiziari e amministrativi che affolleranno i tribunali. Per cui questa moratoria non rappresenta solo un voltafaccia ma è una presa in giro nella presa in giro.
La politica dei veti ambientalisti a tutti i costi che rischi porta in grembo?
Non credo al merito della decisione come al problema principale: si può essere in accordo o meno su un provvedimento. Il nodo è nel manico. Su trivelle e Tap il punto non è tanto schierarsi apriosticamente per il sì o per il no, quanto avere una capacità e una visione per giustificare fino in fondo quelle scelte: ciò che in questo momento manca al governo italiano.
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