Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Stati Uniti-Cina, Jimmy Carter spiega come evitare una Guerra Fredda 2.0

Una nuova Guerra Fredda fra Stati Uniti e Cina non è fantascienza. A lanciare l’appello per un allentamento delle tensioni fra Washington e Pechino è l’ex presidente americano Jimmy Carter in un editoriale del Washington Post . “Sento le élites cinesi proclamare che gli Stati Uniti stanno promuovendo una cospirazione maligna per destabilizzare la Cina. Sento americani di spicco delusi perché la Cina non è divenuta una democrazia, che scorgono nella Cina una minaccia allo stile di vita americano” esordisce l’inquilino n. 39 dello Studio Ovale, oggi presidente del Carter Center. Poi il monito: “Se i più alti ufficiali di governo abbracciano queste nozioni pericolose, una moderna Guerra Fredda fra le nostre due nazioni non è inconcepibile. In questo momento sensibile, equivoci, errori di calcoli e la violazione di regole di ingaggio predefinite in aree come lo Stretto di Taiwan e il Mar Cinese Meridionale potrebbero trasformarsi in un conflitto militare, creando una catastrofe globale”.

Carter, premio Nobel per la Pace nel 2002, è ancora oggi il presidente americano più popolare nel Dragone. Un destino scritto: l’ex commander in chief è nato il primo ottobre, data di nascita della Repubblica popolare cinese. Dall’alto dei suoi 94 anni continua a intrattenere rapporti con i vertici della Città Proibita, che gli riconosce indubbi meriti storici. Se infatti è con Richard Nixon alla Casa Bianca che si è aperto il primo spiraglio fra Cina e Stati Uniti, alla presidenza Carter si deve l’apertura formale dei rapporti diplomatici così come l’avvio dei primi scambi culturali fra i rispettivi studenti universitari. Fu amico personale di Deng Xiaoping, il presidente cinese che aprì alla stagione di riforme economiche il cui quarantenario è stato appena celebrato solennemente da Xi Jinping e gli ufficiali del partito.

Oggi Carter, dal suo modesto ranch in Georgia, torna ancora una volta a cercare di ricucire gli strappi susseguitisi quasi ininterrottamente fra Cina e Stati Uniti da quando Donald Trump ha preso posto nello Studio Ovale. La tregua commerciale di 90 giorni concordata fra Trump e Xi al G20 di Buenos Aires, scrive Carter sul Washington Post, sia occasione per trovare un compromesso che renda giustizia alle richieste americane sulla sicurezza nazionale e il dumping senza uccidere la concorrenza cinese. “Nessun Paese dovrebbe usare la sicurezza nazionale come scusa per ostruire le legittime attività commerciali di un altro. La Cina ha bisogno della concorrenza per innovare e far crescere la sua economia; l’unico modo che i due Paesi hanno per rimanere forti economicamente è cercare di avere rapporti corretti e reciproci”.

Il ricettario di Carter per evitare una Guerra Fredda con i cinesi passa poi a una questione squisitamente politica. Pur sottolineando il dovere di condannare “la censura di Internet, le politiche verso le minoranze e le restrizioni religiose”, l’ex presidente invita i suoi concittadini a “riconoscere che, come la Cina non ha diritto di interferire negli affari degli Stati Uniti, non abbiamo alcun diritto acquisito di dettare alla Cina come governare o scegliere i suoi leader”. Il monito tocca da vicino, senza mai nominarla, la vicenda di Meng Wanzhou, la n.2 di Huawei arrestata in Canada che ora rischia l’estradizione negli Usa, una ferita aperta nell’orgoglio nazionale cinese, e riecheggia le parole del presidente Xi Jinping per i 40 anni delle riforme di Deng, quando ha ricordato che “nessuno può dire alla Cina cosa può fare”.

Tanti i fronti di cooperazione possibile fra i due Paesi, dice Carter, dalla rinegoziazione degli accordi di Parigi (Cop21) alla denuclearizzazione della penisola coreana. Fra tutti però “la via più facile per la cooperazione bilaterale risiede in Africa”. Mai come oggi i cinesi hanno vantato un’influenza così penetrante nel continente nero, specie in Africa orientale, promossa tanto dagli aiuti economici alla ricerca e allo sviluppo tecnologico, quanto a più incisive leve sul mondo politico e imprenditoriale locale. L’Africa costituisce uno dei pilastri del piano infrastrutturale One Belt One Road, che a grandi opere come porti, autostrade, ponti accosta progetti di natura militare non indifferenti (è il caso della base costruita nel porto di Djibouti, capitale dell’omonimo Paese). Strateghi, militari e politici americani ed europei hanno sollevato il sospetto che dietro a questi investimenti si celi una debt trap che costringe i Paesi fruitori a cedere quote di sovranità per ripagare i debiti con il governo cinese. Per porre un freno a questa forma di influenza, ribattezzata da un gruppo di studiosi statunitensi “sharp power”, l’amministrazione Trump, che finora si è dimostrata priva di una strategia per l’Africa (solo recentemente il Dipartimento di Stato ha nominato gli ambasciatori rimasti vacanti), ha pronto un piano d’azione. Presentato all’Heritage Foundation lo scorso 14 dicembre dal consigliere per la Sicurezza Nazionale John Bolton, punta a implementare la cooperazione nel commercio e nell’antiterrorismo con i Paesi africani da sempre vicini agli Stati Uniti e oggi tentati dalla via della Seta di Xi.

L’invito di Carter è per abbandonare la logica del risiko fra grandi potenze. “Ciascuna nazione ha accusato l’altra di sfruttamento economico e manipolazione politica. Gli africani – come miliardi di altre persone nel mondo – non vogliono essere obbligati a scegliere”. “Lavorando insieme agli africani – conclude il premio Nobel – Stati Uniti e Cina si aiuterebbero vicendevolmente a superare la diffidenza e a ricostruire il loro rapporto vitale”.

(Foto: Youtube)

×

Iscriviti alla newsletter