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Fiducia in un progetto comune e trasparente. Il Papa indica la strada ai vescovi Usa

“La lotta contro la cultura dell’abuso, la ferita nella credibilità, come pure lo sconcerto, la confusione e il discredito nella missione esigono, ed esigono da noi, un atteggiamento nuovo e deciso per risolvere il conflitto”. In questi giorni i vescovi della Conferenza episcopale statunitense sono in ritiro spirituale presso il Seminario di Mundelein, a Chicago, dal 2 all’8 gennaio, per riflettere sul gravoso tema degli abusi che ha colpito la Chiesa cattolica, in molti Paesi del mondo, ma in modo particolare la Chiesa degli Stati Uniti. Quasi tutte le diocesi nordamericane sono infatti praticamente state toccate dal problema, e il Report Pennsylvania, che le mette in fila tutte archiviando in ben milletrecento pagine quanto emerso negli ultimi settantanni, è stato il terremoto finale al seguito di una lunga serie di scosse, culminate con lo scandalo per l’ex vescovo di Washington Theodore McCarrick, oggetto anche della lettera di impeachment nei confronti di Papa Francesco da parte dell’ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò, una vicenda fino a quel momento totalmente inedita.

Il Papa, spiegando che nonostante l’impossibilità logistica avrebbe avuto piacere a partecipare a questo ritiro, che precede di fatto l’incontro di febbraio in Vaticano con tutti i capi delle Conferenze episcopali per parlare del tema degli abusi nella Chiesa e della “protezione dei minori”, anche questo piuttosto inconsueto nella sua forma, ha inviato loro una lettera che “vuole supplire, in qualche modo, al viaggio mancato”. Nella missiva Francesco, rallegrandosi per il fatto che a guidare gli esercizi spirituali sarà il predicatore della Casa Pontificia padre Raniero Cantalamessa, ha subito messo in chiaro la struggente durezza dei “tempi burrascosi nella vita di tante vittime che hanno subito nella loro carne l’abuso di potere, di coscienza e sessuale”, in cui “la credibilità della Chiesa si è vista fortemente messa in discussione e debilitata”, e “specialmente dalla volontà di volerli dissimulare e nascondere”. Dando chiara considerazione al fatto, cioè, che “l’atteggiamento di occultamento, come sappiamo, lungi dall’aiutare a risolvere i conflitti, ha permesso agli stessi di perpetuarsi e di ferire più profondamente la trama di rapporti che oggi siamo chiamati a curare e ricomporre”, creando in questo modo “un’impronta e una ferita profonda nel cuore del popolo fedele”, riempendolo “di perplessità, sconcerto e confusione”.

Un lungo testo, quello di Bergoglio, molto chiaro nelle premesse, in cui tra le altre cose si mette i presuli in guardia dal fatto che “molte azioni possono essere utili, buone e necessarie e addirittura possono sembrare giuste, ma non tutte hanno sapore di Vangelo. Se mi permettete di dirlo in modo colloquiale: bisogna far attenzione che il rimedio non diventi peggiore della malattia”, dice. Ma allo stesso modo il messaggio è senza dubbio limpido e trasparente anche nelle sue conclusioni, ovvero nella via che senza timore il Pontefice indica alla Chiesa americana, con le stesse logiche della Chiesa universale, a cui probabilmente si rivolgerà con parole simili nell’incontro di febbraio. Un logica che è la stessa che toccò Gesù nell’ora della croce, quando, spiega il Papa, Cristo sapeva che i suoi discepoli sarebbero stati colpiti dalla tentazioni di non agire come un corpo unico, ma al contrario finirono in divisioni e dispersioni. “La ferita nella credibilità esige un approccio particolare poiché non si risolve con decreti volontaristici o stabilendo semplicemente nuove commissioni o migliorando gli organigrammi di lavoro come se fossimo capi di un’agenzia di risorse umane. Una simile visione finisce col ridurre la missione del pastore della Chiesa a un mero compito amministrativo/organizzativo nell’impresa dell’evangelizzazione”, è così il punto centrale messo in luce dal Pontefice, la cui eco risuona in modo particolare se messa a confronto con la richiesta, inedita ma altresì impensabile, della lettera di dimissioni nei confronti dello stesso Pontefice, che ha fatto seguito ad altre presentate in maniera più teologicamente raffinata, come ad esempio i Dubia o la Correctio Filialis.

Una ferita, quella che si è così venuta a creare, che per il Papa tocca nientemeno che “a livello neurologico i nostri modi di relazionarci”, come afferma ai vescovi statunitensi nello scorrere della missiva. “Ciò implica la capacità – o meno – che possediamo come comunità di costruire vincoli e spazi sani e maturi, che sappiano rispettare l’integrità e l’intimità di ogni persona”, di “risvegliare e infondere fiducia nella costruzione di un progetto comune, ampio, umile, sicuro, sobrio e trasparente”, il che “esige non solo una nuova organizzazione, ma anche la conversione della nostra mente (metanoia), del nostro modo di pregare, di gestire il potere e il denaro, di vivere l’autorità e anche di come ci relazioniamo tra noi e con il mondo”, è la soluzione prospettata da Francesco all’interno della lettera. Perché altrimenti “tutto ciò che si farà correrà il rischio di essere tinto di autoreferenzialità, autopreservazione e autodifesa e, pertanto, condannato a cadere come ‘un sacco vuoto’. Sarà forse un corpo ben strutturato e organizzato, ma senza forza evangelica, poiché non aiuterà a essere una Chiesa più credibile e testimoniale, bensì un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna”.

Potrebbe con facilità risultare inerente, in questo caso, il diverbio consumatosi in Vaticano agli inizi di novembre con il presidente della Conferenza episcopale statunitense, il cardinale Daniel DiNardo, dopo che l’Associated Press pubblicò la lettera che il prefetto della Congregazione dei vescovi Marc Ouellet gli inviò, in cui veniva invitatoa a non votare le misure fino a quel momento discusse per contrastare lo scandalo degli abusi, e che DiNardo svelò invece pubblicamente ai giornalisti, in una modalità che da molti osservatori è stata vista come velatamente maldestra o quantomeno non facilmente comprensibile, se non per la sua ragione personale di fornire all’opinione pubblica una scusante per non avere adottato quelle linee. Recando però, particolare non da poco, un disservizio allo stesso Bergoglio, in quanto la vicenda attirò perplessità e rancori del mondo più critico al suo pontificato, oltre che delle stesse vittime, disorientate dalla richiesta giunta dalla Santa Sede. Che però si è subito capito fosse dovuta al semplice fatto, come si spiegò nei giorni successivi e come viene ribadito dalla stessa lettera del cardinale Ouellet ora pubblicata integralmente dall’Ap, di un ritardo nell’invio delle misure prese dai vescovi americani, che prevedevano un codice di condotta e la creazione di una commissione di laici, ma il cui ritardo non permetteva un margine temporale sufficiente affinché gli esperti di diritto canonico la valutassero, ovverosia quattro giorni totali.

Su tutto questo, e non solo, la sintesi offerta dal Pontefice nelle indicazioni della missiva segna, in ogni caso, il punto della questione. Situato però non in superficie, ovvero nel fatto che non si può rimarginare questa “ferita nella credibilità” solo con una logica di nuove norme e strutture, ovvero in logica di organizzazione aziendalistica. Anche perché lo stesso Francesco, da quando giunto al Soglio Petrino, ne ha istituite moltepici, come anche Benedetto XVI. Ma nel fatto che al contrario serve, come lui stesso non smette mai di ribadire quando si interessa al tema, un’atto di conversione sempre più profonda al Vangelo. “Una nuova stagione ecclesiale ha bisogno, fondamentalmente, di pastori maestri del discernimento nel passaggio di Dio nella storia del suo popolo e non di semplici amministratori, poiché le idee si dibattono, ma le situazioni vitali si discernono”, spiega infatti il Papa. “In mezzo alla desolazione e alla confusione che le nostre comunità vivono, il nostro dovere è – in primo luogo – di trovare uno spirito comune capace di aiutarci nel discernimento, non per ottenere la tranquillità frutto di un equilibrio umano o di una votazione democratica che faccia “vincere” gli uni sugli altri, questo no! Ma un modo collegialmente paterno di assumere la situazione presente che protegga – soprattutto – dalla disperazione e dalla orfanità spirituale il popolo che ci è stato affidato”, afferma ancora. Un atteggiamento, quello indicato da Francesco, che “chiede la decisione di abbandonare come modus operandi il discredito e la delegittimazione, la vittimizzazione e il rimprovero nel modo di relazionarsi e, al contrario, di dare spazio alla soave brezza che solo il Vangelo ci può offrire”.

“Tutti gli sforzi che faremo per rompere il circolo vizioso del rimprovero, della delegittimazione e del discredito, evitando la mormorazione e la calunnia, in vista di un cammino di accettazione orante e vergognosa dei nostri limiti e peccati e stimolando il dialogo, il confronto e il discernimento, tutto ciò ci disporrà a trovare cammini evangelici che suscitino e promuovano la riconciliazione e la credibilità che il nostro popolo e la missione esigono da noi”, è la conclusione del messaggio del Pontefice. “Faremo questo se saremo capaci di smettere di proiettare sugli altri le nostre confusioni e insoddisfazioni, che costituiscono ostacoli per l’unità. Il Popolo fedele di Dio e la missione della Chiesa hanno già sofferto, e soffrono troppo, a causa degli abusi di potere, coscienza, sessuali e della loro cattiva gestione, per aggiungere loro la sofferenza di trovare un episcopato disunito, concentrato nel discreditarsi più che nel trovare cammini di riconciliazione”.



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