Il 15 aprile Xi Jinping, il presidente della “New Era” cinese, sarà a Pyongyang. Il viaggio sarebbe stato deciso durante l’ultima visita del satrapo nordcoreano Kim Jong-un a Pechino, e lo racconta al South China Morning Post (giornale di Hong Kong di proprietà di Jack Ma, tycoon cinese con ottime relazioni col Partito) una fonte – non smentita – con ottime conoscenze delle relazioni estere e del comitato di riunificazione coreana. Ossia: la notizia arriva da Seul, da dove il presidente Moon Jae-in – motore instancabile dei colloqui negoziali tra le due Coree e dell’impalcatura dialogante attorno al Nord – sono almeno quattro mesi che annuncia questa visita del cinese.
Sarebbe la prima di un presidente del Dragone dal 2005, il secondo viaggio in Corea del Nord per Xi, che nel 2008 era andato a Pyongyang ma in veste di vicepresidente. E c’è una ricorrenza: il 2019 è il 70esimo da quando le relazioni diplomatiche tra Pechino e Pyongyang sono state stabilite. Di più: il 15 aprile è il Giorno del Sole, festa nazionale in cui i nordcoreani ricordano la nascita di Kim Il-sung, nonno del satrapo regnante e fondatore della patria.
La simbologia non è casuale: il regime nordcoreano potrebbe usare la visita del presidente cinese come propaganda interna – per mostrare ai cittadini che il potere è ben saldo nelle mani di Kim e viaggia all’interno della giusta traiettoria. È una sottolineatura importante, in una fase in cui il nordcoreano ha aperto al dialogo con i cugini nemici del Sud e soprattutto con gli Stati Uniti – che secondo la retorica classica del regime sono il nemico esistenziale. A maggior ragione, la visita di Xi servirebbe come giustificazione a un altro incontro in programma nei prossimi mesi, quello con Donald Trump – un remake del vertice di Singapore di giugno, stavolta forse in Vietnam, in cui l’americano e l’asiatico dovrebbero tornare sul punto cocente della denuclearizzazione e trovare una via per sbloccare lo stallo attuale.
Sotto quest’ottica, la visita di Xi a Pyongyang, così come quella di Kim a Pechino, hanno anche una dimensione strategica di primaria importanza. Il Nord ha accettato di inserirsi all’interno di un sistema di negoziati che hanno come obiettivo la riqualificazione diplomatica per far uscire Pyongyang dalla caratterizzazione di stato paria con cui è visto finora, ma tutto è subordinato a un qualche genere di decadimento del programma nucleare. Washington vorrebbe il completo smantellamento, i nordcoreani però hanno visioni più sfumate. È una posizione complicata per il regime, che deve fare i conti con cittadini infiammati da anni di retorica secondo cui costruire un sistema di armamenti atomici era l’unica soluzione per non finire distrutti, assorbiti, attaccati dagli Stati Uniti.
Ora Kim dialoga con Trump, ma farsi vedere insieme a Xi permette al satrapo di avere uno scudo politico, culturale, economico, diplomatico. Che ha sia un valore interno, davanti ai nordcoreani, sia esterno: Pyongyang pressa in questa fase sulle relazioni con la Cina per dimostrare agli Stati Uniti di aver valide alternative nel Dragone, potenza concorrente americana. E allo stesso tempo, il dossier nordcoreano è usato dalla Cina come leva nei rapporti con gli americani.
Washington e Pechino sono in una fase di confronto globale, in cui i primi pare stiano vincendo lo scontro sul terreno commerciale: nel 2018 le esportazioni della Cina sono aumentate del 7,1 per cento e le importazioni del 12,9 per cento, dati che fanno segnare un rallentamento della crescita commerciale cinese rispetto al 7,9 e 15,9 del 2017. Allo stesso tempo, il surplus commerciale cinese con gli Stati Uniti è salito alla cifra record di 323,3 miliardi di dollari: Trump ha impostato parte della guerra dei dazi sullo sbilanciamento, e per questo l’aumento potrebbe essere fisiologico.
Possibile che si stiano creando scorte per giocare in anticipo su nuove, eventuali tariffe, che potrebbero ripartire dal 2 marzo se i colloqui in atto dovessero riportare esiti negativi. Mentre Pechino cerca di giocare di anticipo sul dossier nordcoreano: una controffensiva che potrebbe essere usata come elemento di scambio nei talks Usa-Cina.
All’interno di questa situazione si inserisce la Russia. Il viceministro degli Esteri nordcoreano ha incontrato ieri l’ambasciatore russo a Pyongyang e i due hanno discusso – secondo la nota diffusa dai russi sulla pagina Facebook istituzionale – della visita di Kim a Pechino. C’è stato uno scambio di “informazioni vitali” e hanno parlato di come impostare i negoziati “per trovare la via migliore verso la denuclearizzazione delle Penisola Coreana”, dice l’ambasciata.
Le ultime due parole della dichiarazione sono le più importanti: i russi non parlano solo di un denuke del Nord, ma dell’intera penisola, e dunque seguono la linea cinese – e nordcoreana – secondo cui Pyongyang rinuncerà al proprio programma atomico solo se gli Stati Uniti abbandoneranno la loro deterrenza dal Sud. Dove la US Force Korea ha oltre 32mila uomini e muove ciclicamente bombardieri strategici su suolo sudcoreano: una presenza che innervosisce Pechino e Mosca.