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Nessuno scontro con la Lega sull’acqua pubblica. Parla Daga

Bisogna andarci piano quando si parla dell’acqua. E non solo perché è il bene primario in natura, ma anche perché nel globo ce ne è sempre di meno. Roma e romani ne sanno qualcosa, visto che più volte la città è finita in crisi idrica, complice un clima poco clemente. Il Movimento Cinque Stelle porta da anni avanti la battaglia dell’acqua pubblica, che mira a tenere lontano dalla gestione del ciclo idrico le aziende private, come per esempio le utility che non hanno una partecipazione di controllo in mano statale (Acea è per esempio in mano al Campidoglio per il 51%, mentre al contrario l’emiliana Hera ha il 51,5% del capitale distribuito tra i privati, sotto forma di flottante).

A Montecitorio il Movimento sta lavorando a una legge, che reca la firma della deputata di Oristano, Federica Daga, che mira a stabilire senza spazio alle interpretazioni un governo pubblico dell’acqua, escludendo scontri con la Lega. Il cuore della cosiddetta Legge Daga stabilisce che la gestione e l’erogazione del servizio idrico integrato non possano essere separate e che possano essere affidate esclusivamente a enti di diritto pubblico. Oggi la presenza dei privati nell’idrico è forte anche se non determinante. L’85% della rete infatti è gestita da società pubbliche o a controllo pubblico, le quali però hanno nel loro azionariato una robusta presenza privata. La riforma del sistema idrico punta a mettere ulteriormente in sicurezza l’assetto, per “tenere il più lontano possibile l’acqua dal mercato”, spiega la stessa prima firmataria Daga a Formiche.net.

“Dobbiamo una volta per tutte capire che l’acqua è un monopolio naturale, ma un monopolio dei cittadini e per questo l’acqua non può andare sul mercato. Perché se un’azienda, faccio un esempio, fa 3 miliardi di utili, bene quei tre miliardi devono essere investimenti per la rete idrica. D’altronde, non c’è nulla di fantasioso in tutto questo, ce lo chiedono i cittadini che hanno votato per l’acqua pubblica al referendum del 2011 e ce lo impongono le criticità dell’attuale modello emerse dalla lunga fase di audizioni in commissione Ambiente della Camera sulla nostra proposta di legge”.

Il meccanismo della riforma è grossomodo questo: all’entrata in vigore della legge, tutte le aziende dovrebbero essere ripubblicizzate grazie a quote del ministero Ambiente, interrompendo al 31 dicembre 2020 tutte le concessioni esistenti. Anche per questo occorrerà riconoscere al gestore uscente un indennizzo coerente con il valore degli investimenti realizzati e non ammortizzati, oltre a conguagli per costi pregressi che ancora non hanno trovato un riconoscimento in tariffa. Il costo a carico della finanza pubblica per queste operazioni è stimato intorno ai 4-5 miliardi di euro. Un altro aspetto riguarda la necessità di rimborso dei finanziamenti contratti dalle società di gestione idrica. Insomma, rimettere il sistema idrico saldamente in mano pubblica potrebbe avere un costo.

Ma per Federica Daga il gioco vale assolutamente la candela. “Vedo numeri sparati a destra e sinistra su presunti costi della riforma ma sarebbe ora di chiarire un concetto. In venti anni i privati non hanno fatto niente per investire nella rete, con il risultato che la bolletta è rimasta alta. Un governo pubblico dell’acqua invece garantirebbe risparmi fino al 30%. Quindi semmai più che di spese extra qui si parla di risparmi”. Costi inventati, a detta della deputata, così come sono inventati gli scontri con la Lega, che sull’acqua punterebbe invece a lasciare ai vari enti di governo la facoltà di scegliere tra società di capitali (individuate attraverso gare pubbliche), società a capitale misto pubblico privato, soggetti in house. “Non ci sono scontri, solo una normale dialettica. Stiamo utilizzando tutto il tempo a nostra disposizione per discutere gli emendamenti. E per marzo contiamo di approdare in Aula”.


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