L’11 febbraio del 2013 Benedetto XVI annunciava davanti ai cardinali riuniti in Concistoro le sue dimissioni dal soglio pontificio. È stato con ogni probabilità l’atto più riformista, per alcuni rivoluzionario, degli ultimi tempi.
La riforma del papato, così pervicacemente e evidentemente perseguita da Francesco, è cominciata esattamente sei anni fa. Negli ultimi tempi Francesco, in diverse occasioni, ha lasciato intendere di non vedere il suo pontificato prolungarsi a lungo. In occasione della convocazione della prossima Giornata Mondiale della Gioventù ha detto che a Lisbona quel giorno se non ci sarà lui ci sarà un altro successore di Pietro, poi è tornato sul tema durante una messa del mattino, a Santa Marta. Non saranno certo i veleni a indurlo a dimettersi, o le strampalate richieste formulate da qualche ex nunzio. No, sarà un ragionamento per la Chiesa, e per il suo futuro. L’idea che le dimissioni di Benedetto XVI restino un fatto isolato, che magari potrebbe ripetersi tra qualche secolo, toglierebbe ad esse il carattere di riforma che invece una seconda scelta di ritiro confermerebbe. Ma non sarà questo il punto, sebbene non si determinerebbe una istituzionalizzazione del ritiro, ma certo non si potrebbe più parlare di “eccezionalità”. Il vero valore di quella decisione, che Benedetto XVI indicò nell’età e nella conseguente impossibilità di svolgere in pieno la propria missione, verrebbe rafforzato, ma sarà il discernimento personale del papa a decidere, certamente per consolidare la valenza riformista e quindi il progresso del cammino ecclesiale.
Ovviamente il problema dei tempi non è secondario. Occorre che siano maturi. Dal punto di vista di Francesco si può escludere che possa essere una ricorrenza anagrafica, o il compimento del sesto anno in esercizio, come accade per i prepositi della Compagnia di Gesù. Troppo presto quest’ultimo caso, troppo burocratico l’altro. Francesco è un uomo che alla burocrazia ha dimostrato contenuta attenzione. Piuttosto potrebbe essere un punto critico l’idea che vi siano due papi emeriti e un papa regnante. Questo appare logico. A me però appare soprattutto logico e decisivo che pensi di vedere delineata una nuova configurazione del Sacro Collegio, che sta già determinando con molte nomine da periferie sin qui dimenticate o escluse e quindi funzionale al bene della Chiesa una sua scelta.
Quando le periferie fossero in un certo modo riunite nel Sacro Collegio il corpo della riforma del papato sarebbe delineato, forse, in una nuova visione che possiamo intravedere nella figura del papa che governa dal basso il cammino di una Chiesa tutta sinodale. Una piramide rovesciata nella quale il centro, cioè il papa, non detta alle periferie la verità romana, ma riceve tutte le verità periferiche dal mondo creando l’unità di questo affascinante poliedro.
È quel che disse in un grandissimo discorso, quello tenuto in occasione del cinquantesimo anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi: “Sono persuaso che, in una Chiesa sinodale, anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce. Il papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come battezzato tra i battezzati e dentro il Collegio episcopale come vescovo tra i vescovi, chiamato al contempo – come successore dell’apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese. Mentre ribadisco la necessità e l’urgenza di pensare a ‘una conversione del papato’, volentieri ripeto le parole del mio predecessore il Papa Giovanni tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. Il nostro sguardo si allarga anche all’umanità. Una Chiesa sinodale è come vessillo innalzato tra le nazioni (cfr Is 11,12) in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere. Come Chiesa che “cammina insieme” agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell’autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell’uomo per le generazioni che verranno dopo di noi”.
Se Francesco riuscirà a delineare questa riforma di visione potrà ritenere opportuno lasciare in anticipo, consegnando al futuro della Chiesa il tempo, non lo spazio e al mondo la più straordinaria riforma.