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Europee, Francia e Venezuela. La tabella di marcia M5S spiegata da Corrao

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Ignazio Corrao è sorridente, nonostante tutto. La sconfitta dei Cinque Stelle in Abruzzo non è stata presa con leggerezza dal Movimento. Ma qui, a Strasburgo, si guarda già al vero checkpoint: le elezioni europee di maggio. I pentastellati hanno già una strategia per la campagna elettorale. Farà loro compagnia una schiera variopinta di partiti “anti-establishment”. Liberali e nazionalisti, populisti di destra e sinistra, e poi i gilet gialli, o almeno una parte di loro, quella che ha incontrato Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista mandando su tutte le furie Emmanuel Macron. “Noi non siamo antieuropeisti – ci giura dal suo studio Corrao, europarlamentare della prima ora e coordinatore della campagna elettorale per le politiche del 2018. Lo sguardo va al presidente Giuseppe Conte, atteso da una plenaria di Strasburgo che non gli farà sconti: “È un vero presidente, sono sicuro che saprà difenderci”.

Le elezioni in Abruzzo suonano un campanello d’allarme per il Movimento. Il prossimo grande appuntamento è a maggio, con le elezioni europee. È vero che arrancate dietro ai sovranisti?

Il fronte sovranista è un racconto giornalistico, non esiste. Ci sono sovranisti nel Ppe, nel gruppo conservatore e in quello di Marine Le Pen, ma non c’è niente di simile a un blocco compatto. La vera linea divisiva è fra partiti di establishment come Ppe e Pse e partiti ideologici da una parte, e movimenti post-ideologici ed anti-establishment come il nostro dall’altra.

Nel calderone dei vostri possibili alleati c’è di tutto. Qual è il file-rouge che vi lega?

In comune abbiamo la contrarietà all’establishment e ai partiti tradizionali, e l’attenzione per lo strumento della democrazia diretta. L’interlocuzione che è in corso con una parte dei gilet gialli non è facile, sono un movimento molto ampio. Noi quando abbiamo mosso i primi passi avevamo una leadership forte rappresentata da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, loro fanno difficoltà a individuare un solo portavoce. Abbiamo parlato con una parte che ha espresso la volontà di correre le elezioni europee raccontando la nostra esperienza fin dagli inizi, dai V-day fino ad oggi.

Esiste un gruppo con cui potreste allearvi all’indomani del voto?

Se avessimo trovato un gruppo politico con cui affiliarci lo avremmo già fatto. Con i gruppi esistenti c’è poco margine di azione. È vero, ci son i Verdi. Con loro c’è una sensibilità ambientale in comune, ma sono pur sempre un gruppo a trazione tedesca che sull’austerity si è sempre allineato alla linea dei socialisti.

C’è chi, nel frattempo, non è rimasto con le mani in mano. Silvio Berlusconi ad esempio si è proposto per fare da tramite fra popolari e sovranisti…

Ci ricordiamo tutti quando i popolari Merkel e Sarkozy prendevano in giro a suon di risatine Silvio Berlusconi. Il Ppe ha sempre governato, prima con due Commissioni Barroso, poi con la Commissione Juncker, ora con Tajani presidente dell’Europarlamento. Le chances di cambiare l’Ue non sono mancate, ma non si è mossa una foglia. Lo stesso discorso vale per le opposizioni in Italia. Questi politici “capaci” rimasti per anni nella stanza dei bottoni ora si improvvisano opinionisti ma non sanno spiegare perché la crescita in Italia sia sempre rimasta ben al di sotto della media nell’Eurozona.

Negli ultimi due anni avete spesso cambiato idea in tema di alleanze. Avete fatto un tentativo con i liberali di Alde, ma non è andato a buon fine. Poi avete inviato una lettera di auguri al neoeletto Emmanuel Macron. Perché ora il presidente francese non vi piace più?

Noi non abbiamo pregiudizi. Quando Macron si è presentato come leader nuovo ed europeista gli abbiamo voluto dare credito. Poi lo abbiamo valutato sui fatti. Il suo europeismo si è dimostrato di facciata, vuole cambiare l’Europa ma solo per fare un favore ai centri di potere che lo sostengono.

E ora Francia e Italia sono nel bel mezzo di una crisi diplomatica. L’Eliseo ha le sue ragioni?

Macron si è sempre arrogato il diritto di puntare il dito contro il nostro governo, di parlare di “azioni vomitevoli” e di “lebbra” populista. Noi, da italiani tolleranti, non abbiamo mai minacciato di ritirare l’ambasciatore. Ora però non accettiamo lezioni.

Cosa sarebbe successo a parti inverse? Se lo immagina un ministro francese che scavalca le Alpi senza preavviso e posta una foto sorridente con un movimento pieno di facinorosi?

Questa critica è infondata. Non abbiamo incontrato violenti o latitanti, il Movimento 5 Stelle è notoriamente pacifico e pacifista e non dialogherebbe mai con delinquenti. Abbiamo voluto incontrare con una corrente moderata che vuole costituire una lista per le europee e che vuole creare un’alternativa a Macron. A dirla tutta per me l’incontro di Di Maio e Di Battista non è diverso dalle chiamate di cortesia fra Macron e Renzi. Il presidente francese ha semplicemente bisogno di creare uno scontro per lanciare la campagna elettorale. Solo che questa volta fa i conti con un governo italiano che ha tutta un’altra postura in Europa.

Cioè?

I governi di centrosinistra, pur di stare seduti al tavolo della comunità internazionale, finivano per servirci il caffè. Noi invece abbiamo consapevolezza che l’Italia è un Paese fondatore dell’Ue e fa parte del G8, portiamo rispetto ai francesi ma pretendiamo che loro facciano altrettanto.

Le cito un altro dossier che ci divide dai francesi: il Venezuela. Solo che quasi tutta la comunità internazionale, non solo Parigi, supporta Juan Guaidò, mentre noi abbiamo ricevuto i ringraziamenti di Maduro.

Chiarisco una volta per tutte: noi non stiamo con Maduro. Sappiamo che c’è un problema umanitario e una gravissima crisi economica in Venezuela. Io stesso con una delegazione di europarlamentari sono stato sul ponte Bolivar, nel Nord del Santander in Colombia, per dare aiuti umanitari ai venezuelani che si rifugiavano negli ospedali colombiani.

Quindi?

La storia insegna. Ultimatum e rimozioni di governanti buoni o cattivi non hanno mai prodotto vantaggi per la popolazione civile. Se l’obiettivo è tutelare i venezuelani e tanto più la nostra comunità italiana, porre un ultimatum a un presidente che è armato fino al collo e gode del supporto di Cina e Russia è poco saggio.

Maduro ha detto di non voler indire nuove elezioni.

C’è un conflitto fra potere legislativo ed esecutivo. La Costituzione prevede che sia il Tribunale supremo di giustizia a dirimere questi conflitti.

È davvero un tribunale indipendente dall’esecutivo?

Se la comunità internazionale si arrogasse il diritto di dire se una sentenza della Corte Costituzionale sia legale o meno si creerebbe un pericoloso precedente.

L’Italia non rischia l’isolamento internazionale rimanendo in silenzio?

L’Italia rischia di compiere un atto di coraggio. Siamo tutti bravi a ripetere a memoria l’articolo 11 della Costituzione. È quando si fa incessante la pressione della comunità internazionale che si vede la differenza fra noi e la Lega. I leghisti cedono subito, noi siamo contrari all’intervento.

Come risolvereste la crisi umanitaria?

Convincendo Maduro, con una continua pressione diplomatica grazie anche a Stati sudamericani storicamente vicini al chavismo come Bolivia, Uruguay, Messico, a indire nuove elezioni presidenziali sotto lo stretto controllo di osservatori internazionali e di aprire i confini agli aiuti umanitari. Forzare la mano in Venezuela all’indomani del ritiro degli Stati Uniti dal Trattato Inf sui missili a medio raggio rischia di creare una nuova crisi internazionale con la Russia.

Oggi Conte parlerà di fronte al Parlamento europeo a Strasburgo. Che impressione vi ha fatto l’ “avvocato del popolo” in questi primi nove mesi?

Ogni giorno ci stupisce. Ha un compito non facile. Non è il premier di un governo monocolore difeso da industriali ed editori. È il presidente del Consiglio di un governo formato da Lega e Cinque Stelle, e deve trovare di contino un equilibrio. Non è un caso che il governo gialloverde trovi un ampissimo consenso nazionale.

All’estero trova lo stesso consenso?

Conte si muove come un vero presidente. In passato abbiamo sopportato gli elogi acritici degli altri capi di governo europei, frutto di un tradizionale complesso di inferiorità italiano. Oggi Conte ha dalla sua parte una particolare congiuntura storica. Tutti gli altri “grandi” leader europei sono in affanno. Theresa May è alle prese con una Brexit sempre più fuori controllo, l’apprezzamento di Angela Merkel è ai minimi storici, Emmanuel Macron è asserragliato nell’Eliseo. E lui continua a tessere una rete di solidi rapporti con leader internazionali.

Un auspicio per il discorso alla plenaria?

Mi auguro e sono sicuro che difenderà il ruolo dell’Italia nell’Unione Europea. E che smentirà un pensiero sbagliato che aleggia nell’opinione pubblica europea. Il governo gialloverde non è antieuropeista. Vuole un’Europa forte, ma governata da una classe dirigente diversa dall’establishment che per anni l’ha rovinata.

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