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Con l’accordo sui dazi Usa e Cina possono cambiare l’economia globale. Parla Pelanda

I mercati non vogliono una guerra commerciale. E a dirla tutta, nemmeno Donald Trump. Le Borse di mezzo mondo oggi hanno messo il turbo, grazie all’annuncio con cui lo stesso capo della Casa Bianca (qui l’articolo odierno), ha allontanato lo spettro di uno scontro frontale tra Stati Uniti e Cina. La stretta, ha detto, Trump, non solo è rimandata di qualche settimana, ma forse non vedrà mai davvero la luce.

Merito di quei “progressi sostanziali” sottolineati dallo stesso Trump nel suo tweet. Per ora, quindi, non è previsto alcun aumento al 25% delle tariffe su 200 miliardi di dollari di merci esportate dalla Cina verso gli Stati Uniti, già soggette, da settembre scorso, a dazi del 10%. Nell’escalation tariffaria dello scorso anno sono compresi anche altri 50 miliardi di dollari di prodotti tecnologici cinesi esportati verso gli Usa e oltre 100 miliardi di dollari di prodotti americani sottoposti a dazi di rappresaglia all’ingresso in Cina.

Ma davvero quanto affermato oggi dal presidente americano è il preludio di una pax commerciale Usa-Cina? Formiche.net lo ha chiesto a Carlo Pelanda, docente di geopolitica economica dell’Università Marconi di Roma. “Bisogna partire da una premessa. Un’intesa tra le due potenze sarebbe comunque stata trovata, ci sono ben sei bozze di accordo su cui lavorare. Il presidente degli Stati Uniti non ha interesse a ingaggiare una guerra con la Cina anche per non vedersi accusato di essere stato l’artefice del crollo di Wall Street”, spiega Pelanda. Al di là delle intenzioni di Trump, c’è una questione nella partita sui dazi che finora sembra essere sfuggita. E cioè la portata effettiva dell’eventuale intesa.

Qualcosa, fa notare Pelanda, destinata a riscrivere le regole globali del commercio sì, ma anche quelle geopolitiche. “Gli Stati Uniti hanno sempre avuto l’obiettivo di ridurre il deficit commerciale bilaterale con la Cina. Una partita che può valere fino a 400 miliardi di dollari. Il senso dell’accordo potrebbe essere questo: la Cina apre, per esempio, il suo mercato alle merci Usa per 200 miliardi mentre gli Stati Uniti fanno altrettanto. Questo comporta un effetto primario, e cioè la fusione di due economie. Si tratta di un qualcosa di planetario, che può dare realmente vita a una sorta di G2, lasciando a Russia ed Europa un ruolo marginale”.

Secondo Pelanda “lo scenario che potenzialmente abbiamo davanti è impressionante perché pone le basi per un’autentica fusione Usa-Cina”. E l’Europa? Anche il Vecchio Continente ha aperto un fronte americano, quello delle auto (gli Usa minacciano dazi al 25% sulle auto Ue importate negli States) che secondo i calcoli di Moody’s può innescare un effetto a cascata sulla filiera fino a 500 miliardi di dollari. Qui le certezze, secondo Pelanda, sono meno. “Non so francamente se un accordo verrà trovato, le variabili geopolitiche sono tante. La Germania per esempio spinge per un negoziato, anche perché sa che gli Usa mirano a colpire proprio l’industria automobilistica tedesca. Ma la Francia invece no, ha preferito rimandare la questione, mentre l’Italia è rimasta passiva”. Morale, partita ancora aperta.

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