La canea che si è scatenata, dopo la vittoria a Sanremo di Mahmood, è sconcertante. Credo che quasi nessuno, fra chi sta inondando i social di attacchi volgari e pretestuosi, abbia ascoltato attentamente la canzone del vincitore del Festival. Anzi, è palesemente irrilevante il contenuto del pezzo, nell’offensiva partita in queste ore. L’unico elemento rilevante è il suo nome, che in realtà è il cognome. Anche questo, però, quasi nessuno lo sa, esattamente come quasi nessuno si è preso la briga di ascoltare con un minimo di attenzione il testo di Soldi.
Se al nome, poi, uniamo i tratti somatici maghrebini, peraltro non così dissimili da non pochi figli di questa terra, nati a sud del Garigliano, il cortocircuito è completo. Un cortocircuito cominciato, è ovvio, con le polemiche sui migranti pre-Festival. Un crescendo di tensione, che ha trovato quasi naturale sfogo la scorsa notte, con la vittoria di questo ragazzone milanese.
Ecco, il punto è questo: la canea ha messo nel centro del mirino un italiano. Un italiano figlio di un padre egiziano e di una madre sarda, cresciuto nella periferia urbana di Rozzano, Rozzangeles per i suoi abitanti e per chi sa descrivere con un filo d’ironia i paesoni della cintura milanese. Proprio quel padre egiziano, a cui il fresco vincitore di Sanremo deve di fatto il nome d’arte e poco altro, è il convitato di pietra della canzone. Se qualcuno dei frettolosi censori e volenterosi corifei della supremazia italiana si fosse preso la briga di leggere e ascoltare, avrebbe capito che nel brano i soldi non sono cantati come obbiettivo di vita o di riscatto, ma come specchio di un tradimento familiare. Il tradimento di un padre, che deve ancora fare un male cane a questo ragazzo.
Come si possa ridurre tutto questo ad una polemica sciancata e rumorosa, sulla presunta deriva sinistroide e buonista del Festival è onestamente mistero glorioso. Se proprio si volesse parlare per forza di migranti e immigrati, si dovrebbe lodare l’esempio di integrazione rappresentato da Mahmood. Come da Ghali, figlio di immigrati capace di cantare in Cara Italia un atto d’amore per il nostro Paese, che legioni di sovranisti si sognerebbero.
È allora Mahmood il futuro della musica italiana? Ovviamente non lo sappiamo. Siamo però certi che sia un artista di talento, che meriti rispetto e la dovuta attenzione. Non certo di essere usato, per il nome che porta e i tratti somatici, come un bersaglio.
In Soldi canta: “Tradire è una pallottola nel petto”. Oggi, molti hanno tradito logica e razionalità, per accodarsi al gregge della polemica cieca e facile.