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Crisi Roma-Parigi, perché è presto per esultare. La versione di Panebianco

Tutto risolto, o quasi. Le nubi fra Roma e Parigi si sono diradate. L’ambasciatore francese Christian Masset ha fatto ritorno nella città eterna, pronto a riavviare i faticosi ma necessari rapporti con il governo italiano. Luigi Di Maio, strappando un sospiro di sollievo all’Eliseo, ha preso le distanze dalle boutade dei gilet gialli che invitano alla rivoluzione armata. Emmanuel Macron ha invitato ufficialmente Sergio Mattarella a Parigi.

Lo strappo diplomatico senza precedenti fra Francia e Italia sembra avviato a conclusione. Questa almeno è la lettura che gran parte della stampa italiana ha voluto dare ai gesti di apertura susseguitisi da una parte all’altra delle Alpi nell’ultima settimana. Non tutti però sono così ottimisti. C’è anche chi, nell’invito di Macron, ha letto un avviso tutt’altro che amichevole al governo gialloverde. “Da parte francese quell’invito è un tentativo di mettere fuori gioco il governo italiano”.

Angelo Panebianco tira il freno a mano e non si unisce alle manifestazioni di giubilo per l’epilogo della crisi franco-italiana. Il noto politologo dell’Università di Bologna ed editorialista del Corriere della Sera confida a Formiche.net i suoi dubbi: “È molto difficile dare già un giudizio su una crisi che è ancora in corso e non rimarrà senza conseguenze; a quanto leggo dai giornali la vicenda è finita qui e i rapporti fra Francia e Italia tornano alla normalità, ma io non sono così convinto”. Anzitutto, ci spiega il professore, l’invito di Parigi recapitato al Quirinale deve essere ridimensionato. “C’è una differenza di fondo: la Francia è una Repubblica presidenziale, l’Italia no. L’incontro fra i due presidenti dunque non impegna in alcun modo il governo italiano. Questo infatti dipende da una maggioranza parlamentare che ha un orientamento autonomo rispetto al presidente della Repubblica”.

L’intervento di Mattarella, che fin dagli albori della crisi ha provato a gettare acqua sul fuoco e a mantenere un canale diretto con l’Eliseo, era più che legittimo, e forse anche necessario, dice Panebianco. “Il nostro è un sistema elastico: quando c’è un indebolimento o la perdita di credibilità del governo la presidenza della Repubblica acquista un ruolo più forte. È già successo in tante occasioni della storia d’Italia, ogni volta che la politica parlamentare viene meno al suo ruolo di rappresentanza è il presidente della Repubblica a intervenire”.

L’apertura di Macron, continua il politologo, è invece un gesto di grande rilevanza politica prima ancora che diplomatica. “Invitando Mattarella a Parigi in un momento come questo ha scavalcato il suo interlocutore naturale, il governo italiano, lanciando un messaggio chiarissimo”. Certo, Roma ha le sue colpe: “le polemiche possono e devono esserci, anche dure, ma l’incontro di Di Battista e soprattutto di un membro importante del governo italiano come Di Maio con i gilet gialli in rivolta è stata un’operazione maldestra”. Per convincere i francesi che blitz del genere non si ripeteranno non basterà una cena di Mattarella all’Eliseo. La palla passa ora alla Farnesina, che avrà il non facile compito di ritessere la trama di relazioni spezzate con il braccio di ferro degli ultimi mesi senza venir meno alle legittime remore del governo italiano sull’operato di Parigi. Un compito che può essere portato a termine se i diplomatici riescono a fare il loro lavoro senza interferenze indebite da parte della politica interna, chiude Panebianco. “Dovreste chiedere al ministro Moavero Milanesi che fine ha fatto la politica estera italiana, io non ne vedo traccia”.

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