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Tav, il compromesso necessario tra Di Maio e Salvini. Ma i conti (per ora) non tornano

Lega

Matteo Salvini nelle inedite vesti del pompiere. Non per l’abbigliamento – il ministro dell’Interno ci ha ormai abituato a farsi vedere in giro con indosso le divise di forze dell’ordine e Vigili del fuoco – ma per l’atteggiamento che sta tenendo sulla vicenda Tav. Mentre dal Movimento 5 Stelle nelle ultime 48 ore sono partite autentiche bordate sul tema – che hanno coinvolto tutto lo stato maggiore pentastellato da Alessandro Di Battista a Luigi Di Maio per arrivare a Roberto Fico -, il leader leghista ha mantenuto un profilo che più basso non potrebbe essere. “Gli mando pane e Nutella o un Bacio perugina”, ha risposto Salvini a Di Battista che con toni non proprio concilianti lo aveva invitato a mettere da parte il progetto dell’alta velocità tra Torino e Lione (“Se la Lega intende andare avanti, continuando a scavare un buco inutile che costa 20 miliardi e che non serve ai cittadini, tornasse da Berlusconi e smettesse di rompere i coglioni”). E ancora all’altro vicepremier, che ha promesso lo stop alla Tav e bollato come una “supercazzola” l’ipotesi di revisione del progetto avanzata dall’alleato: “Di Maio dice che finché è al governo non si farà? Mi spieghi perché. Non ci sono tifosi del sì e del no. Mi spieghi perché, numeri alla mano, è sconveniente”.

Salvini non sta prestando il fianco alle polemiche dei pentastellati – che in vista del voto in Abruzzo e Sardegna e poi delle europee hanno assunto un profilo più aggressivo sul fronte comunicazione – ma sta ribadendo, comunque, la posizione sua e del partito sulle infrastrutture in generale e sulla Torino-Lione in particolare. E i conti, nonostante l’evidente volontà del vicepremier leghista di non esasperare i toni, non tornano. Le due forze politiche di maggioranza appaiono sideralmente distanti: i Cinquestelle sono da sempre diffidenti verso le grandi opere e hanno dovuto già ingoiare alcuni bocconi amari, come il sì alla Tap, per poter cedere senza battere ciglio sulla Tav, per di più in una fase di calo dei consensi e nella quale gli italiani – tra amministrative, regionali ed europee – torneranno a più riprese alle urne. Ma per la Lega vale lo stesso discorso: lo sviluppo infrastrutturale è uno dei valori costitutivi del partito di Salvini che sta cercando di espandersi sempre di più al Centro e al Sud ma che non può certo permettersi di scordare il Nord e i suoi ceti produttivi tradizionalmente favorevoli alle grandi opere. E che potrebbero finire per spazientirsi – secondo alcuni, anzi, questo processo è già cominciato – se dovesse prevalere l’idea di uno stop più o meno generalizzato alle infrastrutture o, comunque, un atteggiamento ritenuto in qualche misura anti-industriale . Un po’ come sta accadendo ad esempio in Romagna e a Ravenna dove gli imprenditori e i lavoratori del settore Oil & Gas sono sul piede di guerra per le norme anti-trivelle e si preparano a manifestare insieme sabato prossimo a Roma (qui l’approfondimento di Jacopo Giliberto per il Sole 24 Ore).

Lo snodo per la maggioranza, dunque, appare strettissimo: è già accaduto in altri casi, è vero, che i due azionisti del governo guidato da Giuseppe Conte abbiano trovato l’intesa su questioni anche molto divisive ma lo scenario in questo caso è più complesso. Perché la tensione nella maggioranza cresce, la campagna elettorale incombe e la Tav ha un valore, pure simbolico, così importante da rendere assai difficile per entrambi i partiti fare un passo indietro. Eppure il compromesso – a maggior ragione per un esecutivo che trova il suo fondamento principale in un contratto – rimane l’unica soluzione per dare continuità a questa esperienza di governo. Ma il Movimento 5 Stelle, negli ultimi giorni ancora di più, ha detto chiaramente – e con parole anche molto dure – di non voler trattare. Salvini però non molla, anche se non soffia sul fuoco delle polemiche. Tatticismi elettorali a parte, chi la spunterà?

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