Dopo il ‘warning’ americano, il Copasir – il Comitato parlamentare di vigilanza sull’intelligence – si appresta ad approfondire il delicato dossier 5G col governo. Nell’ambito del dibattito circa gli effetti che il prossimo standard delle reti di comunicazione mobile potrebbero avere in termini di sicurezza nazionale, l’organismo presieduto da Lorenzo Guerini – confermano a Formiche.net fonti parlamentari – ascolterà forse già la prossima settimana il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (che ha, tra l’altro, la delega ai servizi segreti) e successivamente il ministro dello Sviluppo economico (e vice premier) Luigi Di Maio, titolare della pratica. Parallelamente è in corso una lunga serie di incontri sulla più ampia questione cyber che, dopo una fase tecnica, si sta ora concentrando sul livello istituzionale, per poi concludersi con l’ascolto dei principali player del mercato.
IL DOSSIER 5G
Del tema 5G, ha riportato l’Ansa, avrebbe parlato proprio ieri al Comitato il generale Luciano Carta, direttore dell’Aise, l’Agenzia informazioni e sicurezza esterna che fornisce a Palazzo Chigi alcuni elementi che potranno rivelarsi decisivi per compiere decisioni in materia (l’intelligence, come ha recentemente ribadito la nuova relazione annuale del Dis al Parlamento sulle minacce alla sicurezza – ha tra i suoi compiti anche quello di tutelare la sovranità nazionale nella sfida che si gioca sul piano tecnologico).
La questione, infatti, ha da tempo travalicato i confini nazionali e vede al centro il ruolo che i colossi cinesi delle telco – in primo luogo Huawei ma anche Zte – potranno avere nello sviluppo e nell’implementazione di questa tecnologia nei Paesi occidentali.
Gli Usa – che con la Cina hanno aperta una contesa dai contorni globali che ha al suo centro temi commerciali ma non solo – hanno più volte lanciato moniti ai loro alleati, l’ultimo dei quali giunto dal segretario di Stato Mike Pompeo, che in una recente intervista a Fox Business Network ha ribadito che Washington potrebbe non condividere più informazioni con gli Stati (soprattutto quelli che ospitano basi Nato, come l’Italia) che adottano tecnologia della compagnia di Shenzhen, auspicando che “comprendano il rischio non solo per i loro cittadini, ma anche per la collaborazione con gli Stati Uniti per garantire la sicurezza globale”. Washington teme che le aziende cinesi – che respingono queste accuse – possano essere potenziali veicoli di spionaggio a beneficio delle autorità della Repubblica Popolare, circostanza che metterebbe pericolosamente dati sensibili di uno Stato nelle mani di un Paese “non alleato” come la Cina. E lo ha reso chiaro anche nella Penisola, dove l’ambasciatore americano Lewis Eisenberg ha manifestato la posizione Usa in una serie di incontri tenuti anche con gli stessi Conte e Di Maio.
LA POSIZIONE ITALIANA
Un mese fa il Mise ha smentito l’intenzione di precludere alle aziende cinesi lo sviluppo della nuova tecnologia in Italia avvalendosi del golden power. Proprio su questo fronte, invece, sembra essersi aperta un’altra crepa nella maggioranza. La Lega – ha raccontato Formiche.net riprendendo il Messaggero – ha presentato in Commissione Trasporti attraverso il suo deputato Massimiliano Capitanio un’interrogazione al titolare del dicastero di Via Veneto.
Un dossier in particolare viene portato all’attenzione di Di Maio nell’interrogazione del Carroccio. Si tratta del progetto WiFi.Italia.It, realizzato con Infratel, società in-house del Mise e soggetto designato dal governo per attuare i piani banda larga e ultra larga, che, recita il sito, ha lo scopo di “permettere a cittadini e turisti, italiani e stranieri, di connettersi gratuitamente e in modo semplice a una rete wi-fi libera e diffusa su tutto il territorio nazionale”. Come ha spiegato Il Sole 24 Ore, per il progetto, che già ha ricevuto 8 milioni di euro, sono in arrivo altri 45 milioni di euro. Infratel, non dovendo ricorrere a una gara, ha assegnato a Huawei l’intera fornitura tecnologica di WiFi.Italia.It tramite una convenzione ad hoc (la Consip Lan 6). Qui c’è l’intoppo secondo i deputati leghisti. Alla luce delle segnalazioni sulla sicurezza provenienti dall’altra parte dell’Oceano (e non solo), l’interrogazione a firma Capitanio chiede al governo di esercitare il Golden power previsto dalla legge 21 del 15 marzo 2012 e a Di Maio di “adoperarsi per verificare l’operato di Infratel e soprattutto per promuovere una specifica strategia volta alla tutela degli apparati elettronici circolanti in Italia e al più ampio interesse della sicurezza cibernetica”.
L’appello, per il momento, rimane senza risposta, anche se alcuni esperti identificano nel nuovo Centro di valutazione e certificazione nazionale (Cvcn) istituito presso l’Iscti del Mise il luogo dove la sicurezza delle tecnologie delle aziende cinesi potrebbe essere concretamente testata prima di arrivare a una decisione definitiva. Una via intermedia, questa, scelta con sfumature diverse da altri Paesi europei come Francia, Germania e Regno Unito.