Il provvedimento col quale il governo ha esteso al 5G i poteri di controllo, veto e condizionamento previsti dalla vigente disciplina di Golden power rappresenta “un allargamento condivisibile, perché va a incidere su un ambito particolarmente delicato di un settore strategico come le telecomunicazioni”. Tuttavia, “non è scevro da contraddizioni e elementi migliorabili”.
A crederlo è Adriano Soi – già prefetto e responsabile della Comunicazione istituzionale del Dis, oggi docente di Intelligence e Sicurezza Nazionale alla Scuola “Cesare Alfieri” dell’Università di Firenze – che in una conversazione con Formiche.net analizza la nuova misura varata nel mezzo di un dibattito globale sulla sicurezza del 5G made in Cina dei colossi Huawei e Zte.
Soi, quali sono gli aspetti più rilevanti dell’estensione del Golden power al 5G?
Con questo provvedimento in pratica il governo estende i poteri di controllo, veto e condizionamento previsti dalla vigente disciplina di Golden power, ovvero il Decreto Legge 21 del 2012 riguardante gli assetti societari nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Ora questi poteri, limitatamente al 5G, vengono ampliati anche per ciò che concerne la stipula di contratti o accordi per l’acquisto di beni o servizi relativi a progettazione, realizzazione, manutenzione e gestione delle reti inerenti i servizi 5G, quando posti in essere con soggetti esterni all’Unione europea.
Come valuta la misura?
Si tratta senz’altro di un allargamento condivisibile, perché va a incidere su un ambito particolarmente delicato di un settore strategico come le telecomunicazioni. Ma non è scevro da contraddizioni e elementi migliorabili.
Quali?
In primo luogo, sebbene il provvedimento sia dichiaratamente motivato con la tutela della sicurezza nazionale, se ne limitano gli effetti alle sole imprese extra Ue, a differenza di quanto si fece con la legge istitutiva sui poteri speciali.
Va comunque ricordato che queste norme non sono automatiche, ma possono essere applicate a discrezione del governo sulla base delle istruttorie condotte da uno specifico gruppo di coordinamento interministeriale. E magari in futuro verranno applicate con la stessa discrezionalità che è stata usata in Cdp Reti, dove Pechino fu fatta entrare nonostante il Golden power.
Si tratta di una norma anti Cina?
Formalmente non lo è. Tuttavia giunge in un momento particolare nel quale il governo, probabilmente su decisivo impulso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ha inteso rassicurare gli alleati circa la possibilità che aziende di Pechino potessero avere campo libero nelle reti 5G italiane con possibili ripercussioni sulla sicurezza. Una necessità, questa, diventata più urgente dopo l’inclusione delle telecomunicazioni nel Memorandum d’intesa sulla nuova Via della Seta. E se da un lato questa correzione può essere ritenuta positiva, dall’altro lato evidenzia una ulteriore contraddizione del governo che pone limitazioni col Golden power, ma al tempo stesso decide di non fugare ogni dubbio tenendo fuori le telco dall’accordo sulla Belt and Road Initiative.