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Trump manda i B-52 davanti ai cinesi (e ai russi). Un messaggio da interpretare

Gli Stati Uniti hanno organizzato in queste settimane una dimostrazione di potenza e presenza militare attraverso un dispiegamento monstre di bombardieri strategici tra Europa e Pacifico che (per ammissione del portavoce dell’Usaf) ha soltanto un precedente in termini di dimensioni: quando sulla rampa di lancio di Fairford, nel Gloucestershire, erano presenti gli aerei pronti per iniziare Iraqi Freedom nel 2003.

La Bomber Task Force è stata coordinata in modalità congiunta dall’EuCom (il comando europeo del Pentagono), l’Indo-Pacific Command, e lo StratCom (che è il comando che si occupa di gestire i deterrenti strategici americani: in questo caso quando parliamo di aerei intendiamo B-52, B-1 e B-2, tutti velivoli in grado trasportare armi nucleari).

Lunedì, proprio dalla base inglese di Fairford, sono decollati contemporaneamente 4 B-52 Stratofortress – il dispiegamento totale era di 6, con 400 airmen a corredo, tutti spostati dalla 2nd Bomb Wing di Barksdale Air Force Base, in Louisiana – che hanno volato su Mar di Norvegia, Mar Baltico, Estonia, Mar Mediterraneo e Grecia. Sopra l’Estonia hanno avuta un’esercitazione simulando un attacco a terra in coordinamento con le torri di controllo Nato, sopra la Grecia si sono riforniti tramite un’aereo cisterna KC-135 Stratocaster, sul Baltico hanno costeggiato lo spazio aereo russo lasciando i trasponder accessi.

Volevano farsi vedere (impossibile sia stata una disattenzione, dato il valore strategico di quegli aerei e l’alta preparazione della crew). Esercitare deterrenza e dimostrare capacità di ingaggio.

Lo stesso è successo nel Pacifico. Missioni di “familiarization” del teatro operativo vengono chiamate in gergo: la familiarizzazione è reciproca, così gli altri attori prendono atto di quella presenza (anche per questo i trasponder aperti). Altri B52 sono decollati dalla base Andersen di Guam (schierati secondo rotazione dalla 5th Bomb Wing di Minot, in North Dakota), salendo fino alla Kamchatka.

Mercoledì 13 marzo, la rotta verso Nord ha segnato un altro passaggio sul Mar Cinese Meridionale, replicando il sorvolo simile del 4 marzo. La missione nel Pacifico era coordinata con quella europea.

Due passaggi come quelli sulle acque contese del bacino, di cui la Cina ha militarizzato diversi isolotti, effettuati nel giro di due settimane e lo schieramento dei B52 dall’Europa, non possono che essere letti sotto una lente: gli americani stanno mandando messaggi di ingaggio con i partner regionali contro quelli che considerano i nemici strategici, le “rival power” come vengono indicate nella versione più aggiornata della National Security Strategy, documento che delinea le traiettorie che la politica americana seguirà nel suo impegno globale.

All’inizio di dicembre 2017, a meno di un’anno dall’Inauguration, il presidente Donald Trump aveva scelto inusualmente di spettacolarizzare la presentazione di quel testo, riservandosi uno spazio personale in cui aveva esposto davanti alle telecamere quello che sarà il perimetro della strategia statunitense per gli anni a venire. L’attenzione riservatagli da Trump era un messaggio nel messaggio che sottolineava il valore che Washington sta dando a certi dossier e posture collegate.

“Questo genere di attività non sono certo state le uniche negli ultimi anni: anzi, la presidenza Trump ha reso tutto molto più aperto per certi versi. Si tratta di messaggi diretti, ed è questi che bisognerebbe tenere in prima considerazione quando ci si appresta a prendere decisioni che potrebbero variare l’inclinazione dell’asse strategico italiano e portarsi dietro rappresaglie”, ci dice un ex comandante militare italiano che chiede la massima discrezione. Il riferimento, non sfugge, è a quanto il governo italiano si appresta a fare con la Cina, ossia la firma sul documento con cui aderire alla Nuova Via della Seta (acronimo inglese: Bri). “Come puoi pensare di sposare quello che è a tutti gli effetti un piano geopolitico, forse il più importante studiato da tempo nel mondo, con cui il principale avversario del tuo principale alleato intende rubare a quest’ultimo lo scettro del mondo?”, aggiunge.

L’ingaggio statunitense contro la Cina è completo e globale: passa dallo scontro commerciale – due giorni fa Trump, durante una conferenza stampa congiunta con Jair Bolsonaro (il presidente brasiliano che sarà presto in Italia era alla Casa Bianca), ha detto che le tariffazioni aggiuntive imposte al mercato dei beni in ingresso dalla Cina potrebbero restare in piedi “per un sostanziale periodo di tempo”, nonostante i colloqui stiano andando bene – o da quello spionistico attorno al fascicolo Huawei/5G, fino al confronto muscolare sul Mar Cinese.

In quest’ottica allargata, la Russia è considerata un paese di minore importanza con cui Washington pensa perfino a un contatto (salvo riqualificazioni e raddrizzamenti comportamentali russi su vari argomenti), per evitare che Mosca smotti completamente nelle mani di Pechino, creando un blocco a quel punto preoccupante. Contro questa situazione gli Stati Uniti chiedono sponda ai partner strategici.

(Foto: Air Force Global Strike Command)

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