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Che cosa sono davvero le primarie del Pd

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Per tutta la giornata di domenica 3 marzo 2019, nei 7.000 seggi allestiti nei gazebo, in Italia e all’estero, si vota per le primarie del Pd: la scelta è tra i tre candidati alla segreteria Maurizio Martina, Roberto Giachetti e Nicola Zingaretti. Con una donazione di almeno 2 euro, sono ammessi a scegliere il nuovo segretario del Partito democratico tutti gli elettori maggiorenni che si riconoscono nella proposta politica del Pd. Ad essi si aggiungono i ragazzi tra i 16 e 18 anni, gli studenti e lavoratori fuori sede e gli immigrati comunitari ed extracomunitari regolari che si siano registrati al sito web delle primarie (qui il link), punto di riferimento per regole e indicazioni.

Se uno dei candidati alla leadership esprimerà il 50% + 1 dei voti dell’assemblea nazionale, mediante il sistema delle liste collegate, sarà nominato dall’Assemblea Nazionale. In caso di assenza di maggioranza, si verifica un ballottaggio tra i primi due classificati, mediante il solo voto dei delegati dell’Assemblea Nazionale. Una meccanica di selezione dei leader che pone a confronto le scelte della base con quelle della struttura del partito, cercando una mediazione tra le scelte dei cittadini elettori e quelle della struttura partitica.

Ma al di là della competizione interna al partito per la selezione della leadership politica, che cosa rappresentano oggi le primarie per un partito come il Pd? Almeno altri tre aspetti sembrano rilevanti nell’esperienza primarie.

In primo luogo, appare centrale la dimensione della partecipazione dei cittadini che si riconoscono nel partito. Con la scelta del leader da parte degli elettori del Pd, si dà vita ad una pratica democratica di traduzione delle preferenze della base in indicazioni chiare circa l’orientamento futuro del partito, i valori che esso intende incarnare, le scelte politiche da effettuare. Non si tratta, allora, di partecipare solo alla scelta di un capo – specialmente in tempi in cui le leadership politiche vengono affermate soprattutto altrove, nella dimensione mediatica – ma di affermare il modello di partito, la sua impostazione ideale e la direzione politica da scegliere per il futuro del Pd.

In seconda istanza, il momento delle primarie costituisce uno strumento di indagine efficace sulla stabilità dell’elettorato del Pd sul territorio. Comprendere quante – e quali – persone percepiscano così forte l’appartenenza partitica da uscire una domenica, mettersi in fila con almeno due euro in tasca e votare tra tre diverse visioni di partito consente di sapere – tra una tornata elettorale nazionale e l’altra – quale sia lo zoccolo duro degli elettori del Pd, dove si collochi sul territorio, se via sia – o meno – un andamento al rialzo o al ribasso tra i flussi di questi votanti così fedeli e motivati.

Infine, le primarie costituiscono un’ottima occasione mediatica per parlare del Pd e della sua apertura a pratiche democratiche di selezione della leadership, soprattutto in un’epoca in cui pare che la democrazia debba diventare – necessariamente? – elettronica. Sono giorni che il tema è presente sulle pagine politiche della stampa e sui social e, in occasione della giornata di voto, è possibile prevedere una crescita mediatica forte, in grado di riportare al centro della comunicazione politica il Pd e le sue scelte. In un’ottica massmediatica, si tratta di un evento rilevante per promuovere una comunicazione positiva su un partito appannato dalla sconfitta alle politiche del 2018 e in difficoltà a chiudere i conti con la stagione del renzismo.

La pluralità delle finalità politiche poste in essere dalle primarie e la versatilità mediatica delle stesse, dunque, giustifica ampiamente i costi – economici e di opportunità – che il Pd va a sostenere con questo evento politico, che ci riporta, anche se solo per un attimo, al modello del partito organizzato di massa e ad una visione della democrazia partecipativa, in cui il voto dei cittadini conta.


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