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Il Global Times cinese spiega perché l’Italia “deve” aderire alla Bri (e senza preoccuparsi dello spionaggio)

Il punto sostanziale sull’imminente firma che l’Italia dovrebbe mettere sul protocollo d’adesione alla Nuova Via della Seta cinese (anche Bri), lo becca il Global Times, e non è un caso: “Se l’Italia sottoscrive l’iniziativa, diventerà il primo paese del G7 ad appoggiare la Bri, aggiungendo indiscutibilmente una nuova forza alla cooperazione internazionale”.

Dunque, se il governo italiano accetterà di aderire alla Bri durante la visita di stato del presidente Xi Jinping (il 747 Air China modificato atterrerà a Fiumicino dal tardo pomeriggio di domani), l’infrastruttura geopolitica con cui Pechino intende proiettare il suo peso verso Occidente assumerà nuova forza. Lo ammette lo stesso GT, che è un organo con cui il Partito comunista cinese diffonde le linee guida su dossier di carattere internazionale, pubblicando articoli in inglese, spesso firmati da accademici, analisti, o funzionari di vario livello (nel caso, l’autore del pezzo virgolettato è Bi Jing, dell’Accademia cinese per il commercio internazionale e la cooperazione economica: lo status è utilizzato per dare peso all’analisi).

Come si sostiene da tempo, non è tanto – come invece dice il governo italiano – la possibilità di attirare investimenti, creare business, chiudere affari: la faccenda ha valore dal punto di vista politico-simbolico. Quella firma sul documento d’adesione (aka memorandum of understanding, MoU) significa sposare un progetto con cui la Cina si lancia verso il dominio globale. Va da sé che il peso di questo passaggio diventa ancora maggiore tenendo conto che Pechino è in aperta competizione con Washington, che ha chiesto all’Italia di non aiutare i cinesi e di non smarcarsi dal fronte che gli Stati Uniti stanno creando per rallentare la rincorsa del Dragone.

Lo spin costruito prima della pubblicazione di un pezzo sul GT è solitamente raffinato: e infatti anche in questo caso l’articolo continua sottolineando come l’Italia sia stata già in passato in contrasto con le politiche dell’Ue – che è l’altra istituzione politica internazionale che insieme agli Stati Uniti ha chiesto a Roma di frenare sull’adesione cinese. Bruxelles ha ricordato al governo gialloverde che, come sottolineato dal presidente della Link Campus Enzo Scotti in un op-ed uscito su queste colonne, “per il Trattato, [l’Ue] ha la delega alla negoziazione degli accordi commerciali tra l’Unione e i Paesi terzi”.

Ma il Global Times sa che leve muovere: ricorda che l’Italia ha avuto un ruolo storico sulla Via della Seta per via della sua posizione geografica e dell’abbondanza dei porti, che sono un interesse tecnico per Pechino (ma hanno valore molto minore di quello che può avere il senso generale dell’adesione italiana alla Bri). Poi passa sulla linea governativa di Roma: “Se Cina e Italia coglieranno la possibilità di cooperare all’iniziativa, non solo l’economia italiana sarà rilanciata, ma i due paesi stringeranno legami più stretti” tramite i quali l’Italia farà da ponte tra Asia ed Europa.

Bi, l’uomo che si occupa di firmare il pezzo per il Partito da Pechino, scrive: “L’Italia ha urgente bisogno di investimenti cinesi nel settore delle piccole e medie imprese, nell’innovazione finanziaria, nelle energie rinnovabili e in un’ampia gamma di progetti infrastrutturali tra cui le telecomunicazioni, le strade pubbliche, le ferrovie e le spedizioni. I trasporti, in particolare i porti e la logistica saranno un obiettivo primario per la cooperazione bilaterale attraverso le Bri nel prossimo futuro”.

Non sfugge il riferimento alle telecomunicazioni: il giornalista esperto di Cina Andrea Pira scrive su Twitter che è un “discreto trollaggio”. Le telecomunicazioni sono in effetti uno degli argomenti più delicati: per dire, la cooperazione conseguente all’adesione alla Bri, in questo settore presupporrebbe anche un ruolo all’interno del 5G? La presenza della Cina nella nuova tecnologia per il trasferimento dei pacchetti dati mobile – il futuro delle telecomunicazioni – è stata molto osteggiata dagli Stati Uniti, che hanno lavorato per creare un blocco compatto di paesi che chiudano le porte del 5G alle ditte di Pechino.

Il rischio, dicono le intelligence americane, è di finire continuamente osservati dallo spionaggio cinese: la minaccia per chi si disallinea è l’interruzione dei programmi di condivisione di intelligence. Il governo italiana ha cercato di smorzare i toni sull’argomento, assicurando che quel settore sarà trattato con le dovute, massime cautele. Ma ora Pechino sembra mettere il dito nella piaga: un passaggio dal forte valore politico-comunicativo, una specie di trolling appunto.

I cinesi ricordano anche l’importanza che ha l’Italia nel rapporto commerciale e ringraziano il governo italiano per aver creato la Task Force interna al Mise: una forte volontà del sottosegretario Michele Geraci, che ha molti collegamenti con la Cina, che dovrebbe servire a migliorare le relazioni tra i due paesi (il condizionale è d’obbligo). Sviolinate di circostanza.

E poi: “Ci si aspetta inoltre che le norme commerciali di alto livello prevalenti nell’Ue illuminino la cooperazione internazionale lungo le rotte Bri”. È un altro passaggio che serve come stampella al governo italiano, che sta cercando di spiegare l’adesione anche come atto volonteroso di chi lavorerà per spostare la Cina verso standard occidentali per il bene di tutti. Lo dice lo stesso Geraci, motore di questo avvicinamento italiano.

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Il pezzo del GT chiude così: “Inoltre, l’adesione dell’Italia alla Bri servirà indubbiamente come paradigma per ispirare altri paesi europei a partecipare all’iniziativa e spingere la Cina e l’UE verso un accordo bilaterale di investimento”. È esattamente questo il senso politico della firma italiana al MoU di adesione: la parte che viene contestata da Usa e Ue.

 

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