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Piccoli giochi di Palazzo all’ombra del colosso cinese

coronavirus, Li Wenliang

Per avere contezza di tutti i paradossi della vicenda cinese, bisogna avere la pazienza di riavvolgere il nastro. I tempi ci sono: considerato che la grande kermesse che accompagnerà la visita di Xi Jinping in Europa si svolgerà tra il 21 ed il 26 marzo. All’Italia il premier cinese dedicherà due soli giorni (22 e 23 marzo). Colloqui con il Presidente della Repubblica, e il presidente del Consiglio, quindi incontri con il presidente del Senato e della Camera dei deputati. Sarà, quindi, la volta di Palermo per poi volare a Montecarlo e quindi a Parigi. In Francia, senza tutto il clamore italiano, Xi Jinping trascorrerà gli ultimi due giorni, prima di ritornare in patria.

La visita a Palermo rappresenta un piccolo capolavoro personale di Michele Geraci: il sottosegretario allo sviluppo economico, che più di altri ha battuto le strade che portano a Pechino. Rappresentante di quella terra, aveva dapprima conquistato il cuore di Matteo Salvini, al punto di essere in predicato per la carica di presidente del Consiglio. Al posto di Giuseppe Conte. Poi la sua fede leghista, stando quanto meno ad una lettura oggettiva, aveva ceduto il passo alle lusinghe dei 5 Stelle. E trasformato il giovane neofita della cultura cinese – sei mesi di intenso studio per padroneggiarne il linguaggio – nello chaperon di Luigi Di Maio. Divenuto il principale sostenitore della “nuova alleanza”.

Se si guarda con il necessario distacco al succedersi delle circostanze, non si può fare a meno di non notare un certo casualismo. Per la verità, in Italia, di “Nuova Via della seta” si parlava da tempo. Gianni De Michelis, come ex ministro degli Esteri e presidente dell’Ipalmo (un istituto sorto negli anni ‘70 che si occupava di politica estera), vi aveva dedicato convegni ed iniziative. Anche alla presenza di esponenti cinesi. L’idea iniziale era quello di sfruttare al meglio le caratteristiche dell’Italia, quale grande piattaforma logistica nel commercio nord-sud. Una potente via di riscatto per tutto il Mezzogiorno, grazie all’utilizzo dei porti di Taranto e di Gioia Tauro.

Sulla base di quel lungo lavoro preparatorio, al quale lo stesso Giovanni Tria aveva partecipato in qualità di studioso, si poteva fare, quindi, di più e meglio. Coinvolgendo, innanzitutto, pienamente la Farnesina, che a quelle più lontane iniziative aveva fatto da sponda. Ciò avrebbe comportato, innanzitutto, un’intensificazione dei rapporti inter atlantici ed inter europei, al fine di trovare una piattaforma minima comune. Considerati i divergenti interessi di ciascun Paese europeo nei confronti dell’Impero di mezzo.

Si è scelta, invece, una strada diversa. Con l’idea che ad intestarsi l’iniziativa dovevano essere soprattutto Di Maio ed i 5 Stelle. Con una Lega emarginata, sebbene a tirare le fila dell’operazione fosse proprio un suo rappresentante. Giochi politicanti in vista delle imminenti elezioni e risposta, per la verità poco medicata, ai mutamenti intervenuti nei rapporti di forza tra i due partner di governo. Mossa poco felice, non essendo stata sostenuta da quel retroterra diplomatico che una copertura così netta a favore di un competitor poco rassicurante, come la Cina, avrebbe richiesto. Quindi la dura reazione americana, quella un po’ più morbida dell’Europa. Ma alla fine Matteo Salvini che si smarca e rovescia il tavolo.

La cucina, un po’ autarchica di Via Veneto, dove ha sede il ministero dello Sviluppo, ha quindi prodotto un piccolo disastro. Ma questo risultato è stato soprattutto la conseguenza del modo di operare di un sistema politico instabile, com’è l’alleanza gialloverde. Pier Carlo Padoan, il ministro dell’economia dei precedenti governi ha, quindi, avuto facile gioco nel denunciarne le profonde contraddizioni. Il memorandum sembra essere scritto soprattutto per difendere gli interessi cinesi. Per garantire loro una più facile penetrazione, con le loro merci ed i loro investimenti, nel cuore dell’Europa.

Sembrerebbe che l’unico possibile vantaggio dell’Italia si avrebbe sul terreno della cooperazione finanziaria tra i due ministri delle finanze. Che cosa questo può comportare non è chiaro. Di un possibile intervento cinese nell’acquisto di titoli del debito pubblico italiano, si era già parlato in occasione del primo viaggio di Giovanni Tria, come ministro dell’economia, lo scorso anno. Il tema è stato recentemente riproposto, con un allarme ben maggiore, dall’ambasciatore americano a Roma.

Fossero queste le reali intenzioni, sarebbe preoccupante. La garanzia della sovranità italiana, ai fini della sostenibilità del debito, è indissolubilmente legata all’esistenza di meccanismi di mercato che ne finanziano il rinnovo. Pensare che si possa arrivare a risultati migliori, puntando sul sostegno interessato della politica di questo o di quello Stato, significa compiere il primo passo verso una successiva ed inevitabile colonizzazione.

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