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Perché i nostri ragazzi non meritano prese in giro sull’ambientalismo

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Chi si entusiasma per una ragazzina (no, non ne faccio il nome, per senso del ridicolo e perché temo, prima o dopo, l’intervento per la protezione dei minori) e chi la detesta hanno in comune un serio problema: l’incapacità di distinguere la realtà dallo spettacolo. Prima che continui la stucchevole scena che la vorrebbe premio Nobel per la pace mi preme ricordare che l’ambiente, le risorse naturali e il loro utilizzo sono causa di molte guerre, più che di pace. Sicché la domanda è: le grandi e belle manifestazioni giovanili sono un passo verso la convivenza o una passeggiata verso la banalità?

Mettiamo da un lato la questione del surriscaldamento terrestre, perché non ho competenze specifiche, ma so che ci sono persone del calibro di Carlo Rubbia che lo considerano una favola per allocchi. Quello su cui tutti possiamo concordare (spero) è che l’ambiente va rispettato e non distrutto e che le risorse naturali non vanno avvelenate o sprecate (compresa l’acqua, perché io manifesto da anni contro quel che accade da noi in Italia, a cura di quanti ora lisciano il pelo ai ragazzi manifestanti). Basta la buona volontà? Suvvia.

Le manifestazioni si sono tenute nella parte libera del mondo, che è anche la più ricca. Posto che tutti, dal papa ai governanti, hanno espresso il loro compiacimento, contro chi si protesta? Il mondo ricco ha scoperto il problema dell’ambiente e, oltre ad alcuni atti di contrizione e a tanta ipocrisia (l’Italia butta ancora montagne di rifiuti nelle buche, parli a se stessa), dice a quello che più velocemente ora si sviluppa: smettetela d’inquinare in modo dissennato. Loro, grosso modo, rispondono: va bene, ma senti chi parla: voi siete cresciuti alla grande depredandoci e inquinando, ora che siete sazi, obesi e fate pochi figli ci venite a fare la morale. Il tema, dunque, non sono i buoni sentimenti, ma l’economia e gli squilibri.

Tanto che il fronte occidentale, prima unito nel salmodiare e ammonire, s’è rotto e gli Stati Uniti di Trump hanno salutato. Non è sortita contro il politicamente corretto, come amano pensare quelli del salotto accanto, detestanti il salotto di prima, ma desiderio di riportare produzione industriale e inquinamento dentro i confini. Come dire: sì, ci siamo arricchiti, ma dove sta scritto che si dovrebbe smettere o prendersi i sistemi produttivi più costosi, mentre gli altri ci fanno concorrenza? Messa così, converrete, la questione è interessante, ma assai meno pacifica di quel che si lascia supporre.

Guardiamoci allo specchio. Io per primo. Guardate le foto dei tanti manifestanti. Lo vedete come siamo vestiti? La gran parte delle cose più giovanili è made in Asia. Frughiamoci nelle tasche: da dove arrivano i telefoni e i tablet? Ce ne possiamo permettere così tanti perché costano “poco” e ciò deriva dal fatto che incorporano anche una diversa sensibilità al lavoro e all’ambiente. Comprando tutta quella roba, possedendo più scarpe di un millepiedi abbiamo accresciuto il nostro benessere, ma anche il loro. Fermiamo tutto perché abbiamo troppe scarpe? A parte che non si ferma nulla, come lo spieghi a quello che ancora deve avere il primo paio?

I ricchi sono veramente convinti che il rispetto dell’ambiente consista nel comprare quel che è “bio”, confermando la propensione ad autoimbrogliarsi per autoassolversi. Chi non lo è pensa che venga prima potere disporre dei mezzi per assicurarsi una vita libera dal bisogno e che gli consenta consumi che non si limitino allo sfamarsi. Se non lo si capisce si parlano non solo lingue diverse, ma inconciliabili.

Trovo molto bello che tanti ragazzi manifestino. Trovo un filino inaccettabile che li si prenda in giro e li si utilizzi per uno spettacolo d’infinita banalità. Essere dalla loro parte non consiste nel dire loro: bravi, quanto siete carini, ma nell’invitarli a discutere dei problemi veri e seri.

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