Quando si parla del congresso sulla famiglia, in programma questo fine settimana a Verona, mi meraviglio della meraviglia. Quella ostentata da chi urla che si vorrebbe impedire agli organizzatori di parlare di temi come l’amore, la procreazione e il matrimonio, basato sull’unione di un uomo ed una donna. Mi meraviglio dei finti ingenui, categoria che non ho mai molto apprezzato. Inclini alla mistificazione. Mi spiego: nessuna persona sana di mente potrebbe mai dirsi contraria a quanto appena elencato, si chiede soltanto una presa di distanza da teorie bislacche, astruse, se non direttamente imbarazzanti, secondo cui non si può essere così sicuri che l’omosessualità non sia una malattia. Oppure, che vada direttamente curata. Per tacere, se possibile ancora più grave, della surrettizia voglia di mettere in discussione la legge 194, l’antico sogno di chi detesta l’idea stessa di libera scelta, se declinata al femminile.
È perlomeno curioso che mentre i volenterosi pasdaran del congresso urlino ai quattro venti tutta la loro indignazione per la “censura” in atto, nessuno alla fine riesca a prendere altrettanto nettamente le distanze da idee, che non dovrebbero avere cittadinanza in uno stato democratico, laico e di diritto. La domanda sul perché di questo silenzio resta rumorosamente senza risposta.
C’è un altro elemento a colpirmi: la Chiesa non è abbastanza. La Chiesa di Papa Francesco non sembra essere un punto di riferimento, forse troppo morbida, troppo accomodante. Perché non basta ribadire l’essenzialità della famiglia, basata sul matrimonio uomo-donna, evidentemente si vorrebbe di più: una condanna o almeno un giudizio, una classifica del vero amore.
Che a Verona – come ai tempi del Family Day – vada poi in scena il più clamoroso dei contrasti fra pubbliche virtù e pratiche private, deve apparire al più un fastidioso dettaglio. Guai a farlo notare, “è censura!” (ci risiamo).
Comoda cortina fumogena, per nascondere teorie troppo imbarazzanti, anche per i più zelanti profeti della “famiglia tradizionale”, ridotta a feticcio.