Donne per la Chiesa, un gruppo di donne cattoliche presente sul territorio nazionale e sempre più attivo da quando Papa Francesco ha indicato con chiarezza la necessità che la Chiesa sia veramente di tutto il popolo di Dio, ha scelto l’8 marzo, festa delle donne, per esprimersi sul Ddl 735 noto come decreto Pillon, dal nome del primo firmatario, e sul quale nel mondo è vivo il confronto. La discussione più ampia riguarda l’idea dei promotori di garantire al figlio minorenne di coppie separate una più corretta applicazione della legge 54/06 sull’affidamento condiviso, attraverso una serie di passaggi di una certa rilevanza, sulla scorta di un rigido principio di bigenitorialità.
“In quanto donne e credenti ci interessa sottolineare un altro aspetto che attiene alle premesse culturali della riforma, più che alla regolamentazione che essa propone. I proponenti hanno in più occasioni ribadito le proprie radici culturali come cristiane ed in particolare cattoliche ed hanno di conseguenza proposto e reclamizzato la propria azione politica, con ciò esprimendo una visione integralista, sia della religione sia del rapporto della politica con la religione. Questo fatto ci trova profondamente contrarie e ci induce a intervenire nel dibattito, per contrastare con forza un atteggiamento che piega e riduce un pensiero ed una tradizione secolari e complessi alle idee di pochi, a poche idee, a idee che in gran parte appaiono in contrasto con il messaggio rivoluzionario e di misericordia che ci ha fatto innamorare ed iniziare un cammino che chiamiamo fede cristiana. Prendiamo parola convinte che la nostra autorevolezza e il rispetto che pretendiamo derivino innanzitutto dall’essere donne”.
Donne per la Chiesa afferma che le donne che vivono nel mondo, sono sposate, hanno figli ma non mariti, credono, sono credibili perché donne reali, hanno vissuto “sul proprio corpo cosa significa generare un figlio o scegliere di non generarlo, stare accanto ad un uomo che ti ama e stare accanto ad un uomo che non ti ama più, siamo o abbiamo amiche sposate, single, divorziate, separate. Abbiamo l’urgenza e la forza, poi, dell’assertività che viene dall’essere donne di fede”. Ecco quindi il punto: “Il substrato culturale del decreto parte innanzitutto da una immagine del tutto stereotipata della donna e dalla volontà di confinarla nel ruolo di madre e di moglie”.
L’idea di queste donne cattoliche è un’altra: è l’idea che ogni essere umano sia chiamato ad una sua realizzazione che può compiersi nell’amore per Dio, i fratelli e le sorelle, ma in ogni caso segue un proprio percorso. I valori della famiglia non possono essere interpretati come ostacolo tra una persona e il suo Creatore. Il messaggio cristiano va allargato rispetto al contesto in cui avvenne la predicazione di Gesù, perché la religione non può mai essere strumento di potere, tantomeno se patriarcale, e nel cristianesimo la cultura patriarcale viene scardinata.
Anche per questo si afferma che il legame sacro tra uomo e donna va inteso come unità, non proprietà. Anche per questo l’auspicio più importante è archiviare la cultura “adultocentrica” e arrivare finalmente a porre davvero al centro nel “prevedere obbligatori tempi di paritetica spartizione del figlio nel più totale oblio del suo vero interesse. […] Se perdiamo di vista questo valore, tradiamo la visione cristiana del rapporto di filiazione, e in generale dell’attenzione verso i più deboli oltre a valori etici che vengono ancora prima e attengono alla dignità e ai diritti della persona umana”.