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Macron dimostra che per chiudere accordi con la Cina non serve aderire alla Via della Seta

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Il presidente francese, Emmanuel Macron, ieri ha dimostrato un teorema che viene ripetuto da diversi analisti e da molto tempo: non è necessario aderire alla Nuova Via della Seta per poter chiudere affari interessanti con la Cina. L’adesione è un simbolo politico di cui economia e commercio non hanno bisogno (anzi). Per esempio: Parigi in un solo deal ha superato di oltre il cinquanta percento le più rosee previsioni sugli accordi italiani fatte da colui che per il governo di Roma ha firmato l’adesione alla Belt & Road (Bri), Luigi Di Maio, il quale commentando i 2,5miliardi di euro frutto diretto delle intese Ital-Cina della scorsa settimana, ha detto che potenzialmente potrebbero essere 20 quei miliardi collegati alla visita di Xi Jinping in Italia, e all’ adesione alla grande infrastruttura geopolitica progettata da Pechino.

La Francia ha chiuso un accordo con la Cina da 30 miliardi di euro per la fornitura di velivoli Airbus (la società non ha specificato il valore della transazione, la stima è basata sui prezzi si listino e una scontistica possibile applicata per il grande ordine). L’affare degli aerei era in discussione da oltre un anno, ossia dalla visita di Macron a Pechino: ieri c’è stata solo una formalizzazione tra Airbus e China Aviation Supplies Holding Company (Cas). Siglato un accordo quadro (General Terms Agreement /Gta) per l’acquisto di un totale di 300 aeromobili Airbus da parte di vettori cinesi.

Airbus (la Francia e Macron) ha un piano basato sulle ultime previsioni del mercato cinese per il periodo 2018-2037: nei prossimi venti anni la Cina avrà bisogno di circa 7.400 nuovi aeromobili, fra cargo e passeggeri, vale a dire oltre il 19 per cento dell’insieme della domanda mondiale. Aerei che tra l’altro il governo cinese – ossia Cas – in questo momento preferisce comprare da ditte diverse dalle americane, per esempio la Boeing, vicina alla presidenza Trump, contendente agguerrito per il ruolo di superpotenza globale. All’inizio di questo mese, dopo l’incidente su un volo di una compagnia etiope, la Cina è stato il primo paese a mettere a terra i 737 Max della Boeing: il modello è concorrente diretto degli A320 della Airbus, di cui ieri Pechino ha ordinato 290 pezzi.

Ci sono forme di leverage commerciali piuttosto evidenti: quando nel 2017 il presidente americano, Donald Trump, andò in visita da Xi, nelle fasi iniziali dell’apertura della trade war, la Cina si mostrò disponibile e ordinò 300 Boeing. Ora Xi, a Parigi, fa altrettanto con la Francia, alla vigilia di un vertice in cui il cinese sarà messo alle strette da Macron e da altri due ospiti invitati dal francese: la cancelliere tedesca, Angela Merkel, e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker.

Macron dice che la riunione odierna serve per spostare le relazioni con la Cina sul piano europeo e non bilaterale – critica diretta all’iniziativa italiana di aderire alla Bri – e per cercare “punti di convergenza tra Europa e Cina” su cui preparare il terreno al 9 aprile, giorno dell’atteso vertice Pechino-Bruxelles. E mettere alcuni paletti, seguendo le ultime posizioni prese dalla Commissione, che ha definito la Cina un “rivale sistemico” ma anche un “partner commerciale”, e del Consiglio Europeo, che ha deciso di costruire uno strumento di screening per gli investimenti esteri molto concentrato proprio sulle attività cinesi.

Quello che ha fatto ieri Macron e il vertice di oggi all’Eliseo sono la dimostrazione che si possono chiudere accordi su commesse di prestigio e valore con Pechino, senza necessariamente compiere passi azzardati: la Francia ieri s’è mossa sul piano della politica economica, mentre oggi ha convocato un vertice di altissimo livello per parlare di questioni di politica estera globale. Piani distinti, realmente: differentemente il governo italiano ha aderito a un progetto geopolitico non ascoltando il richiamo di Stati Uniti e Ue che consideravano la mossa come uno sbilanciamento eccessivo verso Pechino, indipendente dalla dimensione economica-commerciale.

Altra dimostrazione: Macron ha ricordato in conferenza stampa con Xi che “la fiducia richiede tempo” e la questione dei diritti non è un argomento secondario. Ancora: il presidente francese dice che l’Europa dovrebbe collaborare “su progetti concreti nei paesi terzi lungo la Via della seta, nel rispetto dei paesi attraversati e delle norme internazionali”, e sembra mettere – diplomaticamente – il freno alle ambizioni geostrategiche cinesi.

Intanto, Parigi non si ferma al contratto Airbus. La compagnia elettrica pubblica francese, Edf, costruirà un impianto eolico a Dongtai (valore: 1 miliardo di euro). La Cma-Cgm (trasporti via mare) e la China Sete Shipbuilding hanno firmato un altro contratto da 1,2 miliardi di euro per costruire 10 porta-container. Poi il settore aerospaziale (campo: immagini satellitari) e quello bancario (co-finanziamenti in paesi terzi tra Bnp Paribas e Bank of China). La Cina ha inoltre abolito l’embargo sul pollame francese (la scorsa settimana la Coldiretti lamentava gli ostacoli spesso capziosi alzati dalla Cina per rallentare l’export di prodotti alimentari).



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