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L’ultimatum di Pompeo a Israele: stop scambi intelligence se fate affari con la Cina (Roma è avvertita)

“Quando la Cina è impegnata a spiare attraverso le sue imprese commerciale di proprietà statale e presenta un rischio attraverso i suoi sistemi tecnologici, società come Huawei, che sono un vero problema per il popolo d’Israele; quando queste cose succedono, noi vogliamo essere sicuri che i Paesi lo sappiano, siano al corrente dei rischi e poi prendano le loro decisioni sovrane”. Lo ha detto il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, durante un’intervista concessa a Barak Ravid, giornalista israeliano di Channel 13 News in cui il capo della diplomazia americana in visita a Gerusalemme ha fatto capire che se Israele non limiterà i suoi legami con la Cina, gli Stati Uniti potrebbero ridurre la condivisione dell’intelligence e la cooperazione per la sicurezza.

È esattamente quello che Washington sta dicendo da mesi, aspetto che dovrebbe interessare in primis all’Italia, che domani firmerà l’adesione alla Nuova Via della Seta cinese nell’ambito della visita di stato del presidente Xi Jinping a Roma e Palermo. Gli americani sono ingaggiati in un confronto globale con la Cina, aspetto enorme attorno a cui stanno costruendo un blocco di alleati, partner, amici, che ha sempre più i contorni di un patto ad excludendum.

Come già successo con l’Italia, gli Stati Uniti negli ultimi mesi hanno più volte sollevato il problema dell’influenza e penetrazione cinese nel paese con parti del governo israeliano, ma la dichiarazione pubblica di Pompeo segna un limite. Anche con il governo gialloverde italiano è successo così: prima c’è stata un’attività di pressione discreta, mossa attraverso diplomatici e incontri riservati, poi, quando l’Italia ha fatto sapere di voler firmare il documento per aderire alla Belt & Road Initiative, Washington s’è mossa direttamente e apertamente attraverso dichiarazioni ufficiali del Consiglio di Sicurezza nazionale, che sconsigliava a Roma di spostarsi troppo verso la Cina.

Negli ultimi anni il primo ministro, Benjamin Netanyahu, ha cercato molto la sponda cinese per incrementare il commercio tramite il Mediterraneo. In questo avvicinamento ha fatto concessioni per collaborazioni a livello infrastrutturale, in particolare sul porto di Haifa, dove la Shanghai International Port Group, che ha ampliato i moli, inizierà la gestione con un cronoprogramma per essere operativa nel 2021 e un contratto venticinquennale.

Haifa è il punto di scalo della US Navy in Israele, e per questo Pompeo ha detto che “se alcuni sistemi vanno in determinati posti, gli sforzi dell’America per lavorare al tuo fianco saranno più difficili e in alcuni casi non saremo in grado di farlo”. Ossia, i cinesi in quell’area potrebbero essere problematici per le attività militari americane, e potrebbero compromettere le condivisioni di informazioni. Preoccupazioni non nuove, espresse già da tempo da settori dell’intelligence israeliana.

Una problematica simile potrebbe esserci nel caso in cui la Cina entrasse di forza nel porto di Palermo: domenica il presidente cinese sarà in Sicilia, e sembra che una delle ragioni – almeno secondo il governo italiano – è un interessamento al porto palermitano nell’ambito della Nuova Via della Seta. Ma Palermo è davanti a Napoli, sede della Sesta Flotta americana e dell’Allied Joint Force Command della Nato, due infrastrutture su cui i cinesi potrebbero voler allungare le orecchie. Più a sud c’è Sigonella. E non bastasse, davanti alle acque palermitane passa uno snodo di cavi internet sottomarini tra i più importanti del mondo.

Pompeo parla di “sistemi”, che potrebbero essere radar o attività navali, ma non solo: da quando la Cina ha piazzato la sua prima base extraterritoriale a Gibuti si sono ripetuti più volte episodi in cui piloti di aerei americani (anche gli Stati Uniti hanno un’importante base nel paese del Corno d’Africa) hanno subito attacchi di disturbo mentre erano in volo attraverso raggi laser.

Il segretario americano è stato chiarissimo: “Potete immaginare molte situazioni [se non ascoltate i nostri richiami]: la condivisione dell’intelligence potrebbe essere ridotta, la co-allocazione delle strutture di sicurezza potrebbe essere ridotta. Vogliamo essere sicuri che i vari paesi capiscano questo concetto”.


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