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Il Ppe alla prova Orban. Perché il divorzio non sarà gratis

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C’è aria di divorzio fra Partito popolare europeo (Ppe) e Viktor Orban. Il premier ungherese e leader di Fidesz è nel mirino di gran parte della famiglia popolare che vorrebbe scaricarlo prima delle elezioni europee di maggio. Da giorni la scrivania del presidente del Ppe Joseph Daul (qui una sua recente intervista a Formiche.net) è ricoperta di lettere scritte dai diversi partiti della coalizione popolare con una sola richiesta: allontanare l’ungherese e il suo drappello di europarlamentari una volta per tutte.

Una prima occasione per l’addio forzato di Orban si presenterà durante la riunione del partito il prossimo 20 marzo. Come spiega Politico.eu, si fa sempre più ampia la cerchia di forze popolari decisa ad allontanare il leader magiaro, accusato di violare lo stato di diritto in Ungheria e di flirtare con il mondo sovranista senza risparmiare colpi a colleghi di partito, a cominciare dal presidente uscente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker. Nella schiera dei censori tanti partiti di scarso potenziale elettorale, dal Partito moderato svedese al partito di coalizione nazionale finlandese (Kokoomus), i democristiani fiamminghi del Belgio (CD&V), i popolari portoghesi e i colleghi greci di Nuova Democrazia.

Anche tra i pesi massimi c’è chi inizia a traballare. È il caso della coalizione tedesca Cdu-Csu, per cui i sondaggi di Politico.eu prevedono una diminuzione della pattuglia di europarlamentari da 34 a 28. La nuova condottiera dei democristiani tedeschi Annegret-Kramp Karrenbauer ha tenuto una linea assai meno dialogante con Orban rispetto alla Merkel. Non diversa la linea dello spitzenkandidat popolare e punta di lancia della Csu Manfred Weber, da sempre avvocato della partnership con Fidesz, che oggi richiama Orban per l’“inaccettabile” campagna di insulti personali contro Juncker. Perfino gli austriaci al seguito del cancelliere e leader dell’Övp Sebastian Kurz hanno dubbi di coscienza. C’è poi chi rimane in seconda linea. I francesi del Partito repubblicano e gli italiani di Forza Italia non hanno ancora sciolto le riserve sul destino degli ungheresi.

Le regole del Ppe parlano chiaro: per espellere un partito membro serve un’esplicita richiesta da parte di sette altri membri che rappresentino almeno cinque Paesi. Un’ipotesi sempre più concreta. L’ultima parola spetta però alla presidenza, che può mettere ai voti l’espulsione di Orban di fronte all’assemblea politica del partito (composta di 260 eurodeputati) permettendo a Fidesz di difendersi pubblicamente.

Per il momento Orban sembra preferire la linea di attacco. I colleghi che lo vogliono fuori dal partito, ha detto domenica in un’intervista al tedesco Welt am Sonntag, sono degli “utili idioti”. La sua espulsione è un regalo alla sinistra, dice: “Sono convinti di portare avanti una battaglia intellettuale, ma in realtà stanno servendo le ambizioni di potere dei nostri avversari”. Quando Fidesz sarà fuori, ammonisce il premier, “sarà il turno degli italiani e poi degli austriaci”.

Cacciare Orban non sarà una decisione facile per i popolari. La strana simbiosi durata fino ad oggi fra il sovranista e i democristiani europei è infatti dovuta a un reciproco vantaggio. Perdere il supporto del Ppe può essere un duro colpo per l’ungherese. Senza lo scudo dei popolari le sanzioni Ue contro il governo ungherese non incontrerebbero più ostacoli. D’altra parte Fidesz, se i sondaggi non mentono, ha il vento in poppa alle elezioni europee e aumenterà l’attuale manipolo di 12 eurodeputati. Un bottino che il Ppe, che fa i conti con proiezioni meno clementi, non può ignorare.

Se il divorzio fosse inevitabile, non sarebbe difficile per Orban trovare rifugio altrove nell’emiciclo di Strasburgo. Oltre ai cosiddetti sovranisti guidati da leghisti e lepeniani ma ancora privi di un’organizzazione strutturale e un programma condiviso, ci sono i conservatori dell’Ecr ad attendere il magiaro. Lo scetticismo espresso in pubblico dai vertici non deve ingannare. I voti di Orban fanno gola ai conservatori, pronti a subire una grave amputazione qualora la folta schiera di Tories inglesi dovesse abbandonarli con la Brexit. Una mano tesa c’è già. È quella di Giorgia Meloni, la leader di Fratelli d’Italia che una settimana fa ha sottoscritto a Roma l’entrata nella famiglia conservatrice definendo l’Ecr “la casa ideale per Fidesz”.

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