“Non basta solo la ricostruzione delle zone terremotate, serve un piano organico per rilanciare i territori, un piano di sviluppo che va dall’agricoltura al turismo, passando per le imprese sociali, che rimetta in moto il Centro Italia”. Il presidente di Nomisma, Piero Gnudi, già ministro per gli Affari Regionali durante il governo tecnico di Mario Monti, ha appena presentato uno studio che individua le aree d’investimento per rilanciare il tessuto produttivo di Lazio, Marche, Abruzzo e Umbria colpite dal terremoto nell’estate del 2016. A quasi tre anni dal sisma, il quadro di attuazione della ricostruzione risulta “ancora complesso e rallentato, nonostante le ingenti risorse finanziarie messe in campo – prosegue Gnudi – le cause sono generalmente imputate al progressivo allargamento dell’area del cratere, alla rigidità delle procedure ma anche alla presenza di difformità edilizie preesistenti che, almeno nella fase iniziale, hanno frenato i procedimenti”.
Individuate 8 aree di intervento ma ci sono le risorse per attuare questi progetti?
L’importante è che accanto alla ricostruzione fisica degli edifici, delle case, delle scuole e degli ospedali ci sia anche una ricostruzione del tessuto produttivo di queste aree che, in un certo senso, erano già state “terremotate” se pensiamo allo spopolamento di molti comuni dell’Appennino e al fatto che molti centri attualmente sono abitati da persone anziane. Bisogna investire per rendere attrattive queste zone e noi abbiamo individuato 8 macro aree, dalla filiera zootecnica, alla valorizzazione delle seconde case, passando anche al trasporto a chiamata, che potrebbero rilanciare l’intera economia in un quadro organico.
E le risorse?
Quelle non mancano, bisogna metterle a sistema. Voglio ricordare che il governo ha stanziato oltre 14,6 miliardi di euro, a cui si deve aggiungere l’impegno europeo, in un primo tempo di 30 milioni di euro, diventato di 1,2 miliardi di euro grazie all’approvazione di una modifica strutturale alla normativa europea sugli aiuti in caso di catastrofi naturali che colpiscono uno degli stati membri. A questi devono poi affiancarsi i 200 milioni di euro per la riprogrammazione dei fondi Fesr, le integrazioni sui Psr e i finanziamenti della Banca Europea per gli Investimenti.
Il problema però è che la ricostruzione è ferma…
Questo è vero ed è legato al tempo che si perde per far partire i lavori, alle procedure burocratiche che, poi incidono anche sull’abbandono di queste zone. Più tempo passa e più diventa difficile far tornare a ripopolare queste zone.
I presidenti di Regione chiedono una deroga al codice degli appalti, proprio per iniziare i lavori.
Non è solo un problema di questi territori, se ne sta parlando a livello generale per sbloccare tutti i cantieri fermi nel nostro Paese. Bisogna prendere una decisione rapida perché se è drammatica la situazione nazionale lo è ancora di più nelle zone terremotate che devono tornare a vivere come prima.
Puntate molto anche sull’aspetto sociale e dalla vostra analisi i benefici supererebbero i costi.
Certo è indispensabile anche la funzione sociale delle aziende. Il progetto prevede la creazione di 4 fondazioni, una per Regione, con il compito di supportare progetti che vengono predisposti dalla comunità. La dotazione economica perverrebbe sia da fondi strutturali (Fse ma non solo) sia da crowfunding civico, donazioni. L’autonomia delle quattro fondazioni permetterebbe inoltre l’attivazione di strumenti finanziari ad elevato impatto sociale come i Social bond e i Social impact bond che prevedono processi di raccolta diffusa. I costi di tale progetto sono, per il primo anno, di 870mila euro, per il secondo di 480mila euro. Ma i benefici sarebbero molteplici.
Quali nello specifico?
Come Nomisma abbiamo visto che questo progetto porterebbe alla realizzazione di opere legate al bene comune e all’interesse generale tarate sulle reali esigenze del territorio, allo stimolo alla partecipazione attiva della comunità, alla creazione di lavoro per imprese negli ambiti tradizionali del welfare (e non solo), all’innalzamento del livello di welfare generale e della coesione sociale.
L’importante è partire, però…
Noi abbiamo dato degli spunti, condivisi dalle regioni coinvolte e anche dal governo. Adesso bisogna vedere se c’è la volontà politica dei vari soggetti interessati di realizzarli.