Sulla Cnbc il ministro delle Finanze maltese, Edward Scicluna, ha detto che il suo paese sta valutando attentamente la possibilità di adesione alla Bri cinese, la Nuova Via della Seta. “Malta deve diversificare se vuole sopravvivere ed essere un paese competitivo” e la necessità di “un paese sovrano” di dar seguito ai propri interessi “non dovrebbe provocare conflitti”. Scicluna sembra inserirsi già nella fase successiva che potrebbe seguire la mossa maltese, ossia la possibilità che l’avallo al progetto di infrastruttura geopolitica pensato da Pechino possa portarsi dietro reazioni internazionali.
D’altronde quello che sta succedendo all’Italia – che una decina di giorni fa ha annunciato, tramite il sottosegretario al Mise, Michele Geraci e poi per bocca del premier Giuseppe Conte una decisione analoga – è un precedente. Roma è finita sotto le pressioni pubbliche di Washington, preoccupata per l’adesione dell’Italia a “un progetto che per la Cina non ha mai avuto un valore solo infrastrutturale, ma è una nuova forma di cooperazione non soltanto con significati geopolitici”, dice Matteo Bressan, direttore di OssMed, l’osservatorio sul Mediterraneo della Università Lumsa (Bressan sulla Obor cinese ha scritto due libri e segue i suoi sviluppi da diversi anni).
La questione è bloccata a Roma anche perché le due anime del governo giallo-verde non sembrano perfettamente concordi sul da farsi: firmare il memorandum d’intesa durante la visita di stato del presidente Xi Jinping in Italia, come annunciato, potrebbe avere un riflesso politico importante. L’Italia sarebbe il primo paese del G7 a farlo, e questo scontenta Washington, ingaggiata con la Cina in un confronto globale – se la Lega sembra tenere una posizione più classica, quella del M5S sembra più di rottura sull’allineamento atlantico che ora più che mai l’amministrazione Trump sta chiedendo di mantenere fermo.
“Mi ritrovo molto nella riflessione fatta dal presidente Sergio Mattarella” commenta Bressan: il Quirinale ha ospitato ieri per un pranzo operativo il premier e i suoi due vice, nonché i ministri di Esteri, Finanze e Difesa. “Il presidente della Repubblica ha fatto quello che deve fare la politica, ossia fissare paletti e regole. Da una lettura chiara è venuto fuori per esempio il discorso del 5G (la nuova infrastruttura mobile da cui gli americani vorrebbero tener fuori la Cina anche all’interno dei paesi alleati per timore che gli scambi di informazione di intelligence possano essere intercettati da Pechino. Ndr)”. “Non c’è bisogno di ribadire che siamo un Paese fondatore di Nato e Ue, dunque sappiamo qual è la nostra parte e non possiamo uscire da letture comuni come quelle con americani. Mattarella l’ha ribadito”.
D’altronde è stata Bruxelles stessa a fissare paletti. “Ma certamente: l’Italia non può fare niente in ambito di accordi commerciali senza dialogo con l’Ue. Ed è per questo fondamentale che i bandi di gara collegabili alla Bri si facciano in massima trasparenza e secondo le regole europee, non come fu fatto in Ungheria ad esempio”. Tra l’altro, aggiunge Bressan, è tutto già inserito all’interno della bozza di memorandum che il Corriere della Sera ha pubblicato, “di cui francamente sono un po’ stupito: si tratta di un testo analogo al documento programmatico/istitutivo della BRI, diffuso pubblicamente a Pechino già nel 2015 e affinato nel 2017. Io stesso ne ho alcune copie sia della prima che della seconda versione, che contengono indicate come aree di cooperazione economia, cultura, connettività infrastrutturale, connettività sulle infrastrutture energetiche, e poi sulle telecomunicazioni, aree di libero scambio, la creazione di piattaforme per investimenti, e via dicendo”. Alcuni stralci del cartaceo li riportiamo di seguito.
Quello che riguarda la Bri, ci dice Bressan è da sempre “tutto ben noto alla Farnesina, agli addetti ai lavori e ai nostri diplomatici: l’Italia ha sempre detto che la cosa sarebbe stato di interesse se le merci non avessero viaggiato in senso unidimensionale, e se fosse stato permessa a Roma la possibilità di lavorare in paesi terzi coinvolti nella Via della Seta, triangolando il business piazzato altrove come un’opportunità per sfruttare il progetto cinese per entrare in Asia Centrale per esempio”.
Il punto, secondo l’esperto italiano, è di verificare se la firma del memorandum inciderà o meno su certe dinamiche – “questo sarebbe il vero vantaggio per l’Italia. Per esempio, prendiamo la piattaforma di Mortara cofinanziata dalla fondazione del Banco di Pavia e dalla cinese Chengjiu Logistics”. Il polo intermodale dovrebbe trasportare merci via treno da e soprattutto per la Cina (partendo dunque dall’Italia): c’è stato un esperimento il 28 novembre 2017, il convoglio ha impiegato 18 giorni per raggiungere un polo cinese invece dei 60 per via marittima. Un altro nel 2018, “ma poi più niente: forse siamo lontani ai venti convogli settimanali in partenza dall’Italia previsti entro il 2020”.
Sono questi gli aspetti importanti per Bressan, e aggiunge che “non sono solo i porti la questione. Trieste interessa alla Cina perché c’è un background territoriale con enormi potenzialità. Ero ospite a Bolzano qualche tempo fa e la Confindustria locale parlava già in previsione futura,di un possibile ingresso dell’Italia nella Bri e di quando sarà aperto il collegamento del Brennero verso la Germania”.
Tuttavia, ricorda il docente della Lumsa, questa capacità competitiva può attrarre la Cina anche in modo indipendente dall’adesione alla Bri tramite un memorandum: “Non dimentichiamo che il Pireo (il porto greco ora completamente di proprietà della cinese Cosco, ndr) ha prima stretto accordi e soltanto due anni dopo la Grecia ha firmato il memorandum con la Cina. In quest’ottica quello che ha valore sarà quella sessantina di big del business cinese che accompagneranno Xi in Italia pronti a firmare contratti”.