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Così Trump annuncia il primo veto della sua presidenza

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Ieri il presidente statunitense, Donald Trump, è tornato a scagliarsi contro la politica rappresentata dal Congresso incalzando i legislatori su Twitter con l’annuncio pubblico di voler mettere il veto su una risoluzione passata al Senato per bloccare lo stato di emergenza nazionale che la Casa Bianca ha dichiarato una mesata fa.

Trump aveva usato la dichiarazione di emergenza per sbloccare una questione politica piuttosto rilevante: il muro di separazione col Messico. Grande promessa elettorale trumpiana per contenere l’immigrazione illegale, l’opera aveva trovato per due anni l’opposizione dei congressisti, e adesso, con la maggioranza ottenuta dai Democratici alla Camera (dopo le Midterms) mettere a budget finanziamenti per costruirla sembrava diventato impossibile.

La proclamazione dello stato d’emergenza lungo il confine sud – legato a quella che l’amministrazione Trump definisce “un’invasione”, di trafficanti di droga, clandestini e terroristi – era il metodo più veloce per evitare lunghi bracci di ferro sul bilancio che avrebbero potuto portare a un altro shutdown. E contemporaneamente ottenere una fetta dei fondi necessari per la costruzione del Muro tramite stanziamenti extra che normalmente vengono tenuti in cassa per far fronte a disastri naturali o in caso di guerre.

Erano stati prima i deputati democratici a presentare una mozione per bloccare la decisione di Trump, ritenuta non attinente alla filosofia giurisprudenziale che prevede lo stato di emergenza (e l’uso dei fondi relativi): non c’è nessuna emergenza al confine sud, dicono i congressisti guidati da Nancy Pelosi, dati alla mano – e lo stesso Trump in una discorso pubblico era sembrato ammettere che la proclamazione era un’espediente tecnico per ottenere i fondi.

Alla Camera c’erano già stati voti repubblicani a sostegno del blocco, circostanza che s’è ripetuta al Senato, dove 12 membri del partito di Trump si sono schierati con l’opposizione Dem.

È la prima volta che il Senato, a maggioranza repubblicana, vota contro la Casa Bianca di Trump: ed è questa la dimensione della batosta subita dalla presidenza – che ora con il veto chiuderà presumibilmente la partita, perché è improbabile che alla camera alta si riesca a raggiungere la maggioranza di due terzi necessaria per ribaltare l’alt dello Studio Ovale.

Il momento per Trump è delicato e non può permettersi di incassare altri colpi. Oggi la Corea del Nord ha mandato un serio messaggio a Washington, annunciando, in mezzo alla propaganda tipica delle dichiarazioni di Pyongyang, che – differentemente da quanto dice il presidente americano – le cose non stanno andando troppo sul principale dossier internazionale su cui la Casa Bianca è ingaggiata, e in cui Trump ha investito capitale politico puntandoci parte della legacy della sua presidenza.

Con la Cina ci sono negoziati che stanno procedendo abbastanza bene, ma ancora non si è arrivati alla fase risolutiva dello scontro commerciale che il presidente americano vorrebbe usare, almeno per immagine, come conquista su cui piazzare la bandiera vittoriosa. Anzi, la scorsa settimana sono usciti dei dati strazianti per una Casa Bianca che ha puntato parte della sua politica estera sul tentativo di ribilanciare i vari deficit commerciali (a cominciare da quello sofferto con Pechino): 891,2 miliardi di dollari di differenza tra merci esportate e quelle importate, il più grande sbilancio commerciale nei 243 anni di storia della nazione, nonostante più di due anni di politiche America First trumpiane.

E nell’America First è compreso anche l’impermeabilizzazione simbolica del confine messicano a tutela dei cittadini americani davanti all’invasione dei migranti che gli rubano risorse.

 

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