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Ecco il fondo da un miliardo per portare l’istruzione in Africa

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Si scrive Africa, si legge fame. Vero, purtroppo. Ma anche l’istruzione ha la sua importanza e nel Continente nero ne sanno qualcosa. Oggi, anno 2019, al di sotto del Sahara un bambino di nove anni su due non è in grado di decifrare una parola che sia una. E così alla fame si aggiunge la piaga dell’analfabetismo. Qualcosa però si può fare, se non altro per evitare che da qui al 2030, ovvero nel giro di dieci anni, il numero di bimbi incapaci di leggere e scrivere tra Africa e Medio Oriente raggiunga il miliardo di unità.

La soluzione, a parole, è semplice. Più soldi. Aumentare cioè la spesa per l’istruzione nei Paesi del Terzo Mondo. Facile, anzi no. Con il globo sull’orlo di una nuova recessione (non ancora secondo le previsioni di due giorni fa del Fondo Monetario, ma poco ci manca) e reduce dalla peggiore crisi economica che si sia mai vista da quando si stampa moneta, i governi non hanno grossi budget da stanziare. Meglio dunque ricorrere ai capitali privati, con un meccanismo che garantisca la remunerazione di chi presta denaro per una buona causa e che è alla base dell’Education Outcomes Fund per l’Africa e Medio Oriente, presentato ieri pomeriggio presso la sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, al Senato, nell’ambito del convegno Education in Africa cannot wait. Si tratta del fondo da un miliardo di dollari promosso per la prima volta dall’Education commission animata dall’ex premier inglese Gordon Brown e che proprio in queste settimane sta diventando operativo: soldi con in quali costruire scuole in Africa e finanziare corsi per i bambini delle zone più difficili del Continente.

Il funzionamento del veicolo è molto simile all’emissione di un bond con cui una banca o un’impresa si finanzia sul mercato. Si chiama pay for results, meccanismo nato nel Regno Unito qualche anno fa per favorire la partecipazione di capitali privati laddove lo Stato non ha grosse somme da spendere. Tutto avviene mediante l’emissione di una sorta di bond sociale. La Pubblica amministrazione lancia la sottoscrizione di un’obbligazione con cui raccogliere investimenti privati per pagare chi gli fornisce servizi di welfare. Come accade con le comuni obbligazioni, chi acquista un social impact bond, questo il nome del titolo emesso, ha diritto, a una determinata scadenza, a riavere indietro il capitale prestato più una quota di interesse.

La differenza sta però nel fatto che la remunerazione del capitale investito viene agganciata al raggiungimento di un certo risultato sociale. Questo per via di un principio: risolvere un problema sociale significa evitare un costo per la società. È proprio questo risparmio a mettere la Pubblica amministrazione nelle condizioni di remunerare gli investitori. Lo stesso principio si applica all’Education Outcomes Fund, oggi guidato da Amel Karboul, ex ministro del primo governo democratico della Tunisia, dopo la caduta del dittatore Ben Alì (2011).

“Questo fondo”, ha spiegato l’ex ministro dello Sport nel governo Prodi Giovanna Melandri oggi a capo di Social Impact Agenda Italia e affiancata per l’occasione dal presidente dell’Enel Patrizia Grieco e dal viceministro agli Esteri Emanuela Del Re, “da un miliardo di dollari è il primo imponente tentativo di utilizzare gli strumenti della finanza di impatto per accelerare il raggiungimento dell’Obiettivo 4 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite (approvata da 193 Paesi oltre tre anni fa, ndr). Per la prima volta la piattaforma del pensiero e degli strumenti della finanza a impatto incontrano la piattaforma degli obiettivi Onu”.

“Sono convinta che la finanza a impatto sia una vera e propria rivoluzione che sta interrogando alla radice il funzionamento del capitalismo finanziario: una delle prospettive più interessanti di autoriforma del settore oggi. Social Impact Agenda ha registrato un importante successo anche in Italia ottenendo che nella scorsa Legge di stabilità fosse incardinato il primo fondo per l’innovazione sociale, al fine di erogare risorse pubbliche e restituire il capitale investito laddove questi investimenti fossero collegati esplicitamente a obiettivi sociali da raggiungere”, ha aggiunto Melandri.

Tra i relatori, anche Lapo Pistelli, direttore relazioni internazionali di Eni, il quale ha citato per l’occasione l’esempio del padre del Sudafrica post apartheid, Nelson Mandela. Il quale “aveva indicato l’educazione come l’arma più potente per cambiare il mondo. Oggi più che mai il diritto all’educazione è la premessa fondamentale per lo sviluppo e la stabilità dell’essere umano al fine di combattere povertà, emarginazione e sfruttamento. Il fondo in questo senso rappresenta quindi uno strumento importante e innovativo per affrontare questa sfida globale a cui tutti noi come istituzioni pubbliche, imprese private e società civile siamo chiamati insieme a rispondere”.

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