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Ecco come la Russia prende terreno in Africa

“La Russia è una sfida crescente e ha adottato un approccio più militarista in Africa”, ha detto il 7 marzo, in audizione al Congresso, il generale Thomas Waldhauser, capo dell’AfriCom del Pentagono. Mentre a dicembre 2018, il consigliere per la Sicurezza nazionale statunitense, John Bolton, una delle menti strategiche della Casa Bianca, aveva descritto la nuova strategia statunitense in Africa come una competizione tra “grandi potenze” in concorrenza e contro-bilanciamento verso Cina e Russia, che compiono “atti predatori”.

Secondo Bolton, il Cremlino “continua a vendere armi ed energia in cambio di voti alle Nazioni Unite” – è la trappola politica con cui Mosca, e anche Pechino, ricattano certi paesi, dove determinati investimenti sono necessari, entrano con aiuti che poi diventano debiti, e poi chiedono il conto. Con la Russia sta funzionando relativamente, per esempio, a dicembre, una ventina di nazioni africane si sono astenute sul voto per una risoluzione dell’Assemblea generale dell’Onu che condannava l’annessione crimeana e la presenza di truppe in Ucraina.

La Russia è entrata in Burkina Faso, ha venduto elicotteri e assistenza militare. Lo stesso nella Repubblica Centrafricana, dove un russo è diventato consigliere presidenziale in materia di sicurezza (Valeriy Zakharov) e la PMC Wagner – società di contractor molto vicina al presidente Vladimir Putin – fanno da consulenti alle forze armate locali. Il governo locale sta vendendo quote di società minerarie (oro e diamanti) per pagare le forniture, e tre giornalisti russi che indagavano sulle attività dei contractor sono misteriosamente stati uccisi lo scorso anno. Due settimana fa, in visita in Centrafrica c’era Mikhail Bogdanov, diplomatico espertissimo, viceministro degli Esteri, e curatore per Mosca di tutti i dossier strategici di quell’area che gli americani chiamano MENA, Middle East and North Africa.

La morte dei tre giornalisti nell’estate del 2018 è stata una delle vicende che ha attirato i riflettori sul ritorno russo in Africa, in stile Unione Sovietica. Mosca ha ristretto il partenariato di quell’epoca con Mozambico e Angola; sempre a marzo, il 18, da Luanda, John Sullivan, il vice segretario di Stato statunitense, ha avvertito che “la Russia utilizza spesso mezzi coercitivi, corrotti e segreti per tentare di influenzare gli stati sovrani, compresi i loro rapporti di sicurezza e economici”.

Circa il 13 per cento di tutte le armi che Mosca vende in giro per il mondo arriva in Africa: clienti principali sono Algeria, Tunisia ed Egitto, acquirenti di equipaggiamenti anche di tipo sofisticato, ma gli stati meno strutturati e ricchi entrano nel business comprando servizi. Consulenza, assistenza, training, con cui – anche attraverso società private – la Russia gioca sempre maggiore influenza.

Il presidente sudanese, Omar Hassan al-Bashir, ha stretto un accordo per rinforzare le unità di sicurezza con cui mantiene la presa sul paese con l’aiuto di advisor russi. Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso, Mauritania, sono tutti paesi che hanno chiesto ai russi un supporto nella lotta al terrorismo qaedista (e qualche hotspot minore baghdadista) che tempesta l’area. Entro la fine dell’anno il Cremlino punta a organizzare una grande conferenza, ospitata a Mosca, a cui far partecipare rappresentanti da tutti gli stati africani.

Secondo un’analisi dell’Institute for the Study of the War (Isw), la Russia sta cercando di migliorare la propria presa strategica sul continente: da questo l’interessamento alla Libia, con l’esposizione verso il maresciallo di campo Khalifa Haftar, il principale oppositore al piano onusiano di rappacificazione. Così come l’occhio sul Corno d’Africa, passaggio nevralgico verso il Mar Rosso, e dunque Suez e il Mediterraneo.

La presenza in Sudan punta a questo, e lo stesso quella in Eritrea (il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, a fine agosto scorso ha annunciato un’intesa con l’Eritrea per l’apertura di “un hub logistico nel Paese africano”). A inizio 2018 Mosca ha varato nuovi piani per finanziamenti in Africa, e in quest’ottica rientra la firma ad aprile di un accordo sulla cooperazione nucleare tra Russia e Etiopia. La decisione di Addis Abeba di cooperare con Mosca sull’energia nucleare riflette il crescente fabbisogno energetico dell’Etiopia, che si prevede aumentare ulteriormente man mano che il paese attua i suoi ambiziosi piani di sviluppo economico. Allo stesso tempo permette a Mosca di piazzarsi su un settore strategico in un paese del Corno.

L’Etiopia del primo ministro Abiy Ahmed, sta vivendo una fase di cambiamento verso liberalizzazioni economiche con cui attirare più investimenti stranieri. Qualche settimana fa, il presidente francese, Emmanuel Macron, ha visitato Addis Abeba firmando diversi accordi per aumentare gli investimenti francesi nel paese. Il capo dell’Eliseo era impegnato in un tour regionale iniziato da Gibuti e arrivato in Kenya. Il piccolo paese del Corno è fondamentale per gli equilibri dell’area sia per la posizione geografica (si trova dove il Golfo di Aden si strozza a Bab al Mandab), sia perché ospita postazioni militari statunitensi, cinesi, francesi, e avamposti russi e inglesi.

Ma è l’Etiopia il gigante economico locale, diventato ancora più attrattivo con le riforme del mercato finanziario e quello delle telecomunicazioni (un tempo settori chiusi agli investimenti stranieri). Quest’ultimo spazio fa da paradigma di come si vivono certi generi di concorrenza. Alcune società occidentali, come la francese Orange, sarebbero interessate a collaborazioni con la locale Ethio Telecom, che però ha una situazione di trasparenza aziendale non a livello degli standard richiesti dalla Francia. Ma è probabile che le imprese di altri paesi con leggi più lasche – la Russia, per esempio – saranno più che disponibili a cogliere l’occasione.

La capacità attrattiva etiope è aumentata anche con la stabilità che la pace con l’Eritrea s’è portata dietro. L’11 ottobre del 2018, il premier italiano, Giuseppe Conte, è stato il primo leader occidentale a visitare il paese dopo la storica riconciliazione (di tre mesi prima). Conte ha ribadito l’interessamento italiano nello sviluppare progetti per un nuovo modello di cooperazione e investimento in Africa anche qualche giorno fa, intervenendo in un panel durante una visita ad Assisi. Ma quell’area specifica tra Etiopi ed Eritrea, nonostante i contatti italiani, è al centro di una concorrenza spietata su cui Roma sembra in difficoltà nel guadagnare terreno.

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