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Come cambia la sinistra europea, tra leader assenti e principi dimenticati

politica sinistra

Le sinistre in Europa godono di ottima salute. Sono numerose, anche all’interno di ciascun Paese. Sono, come vuole una distorta concezione del mercato politicoelettorale, sempre in competizione fra loro. Offrono un ampio ventaglio di alternative ai loro elettori immusoniti e intristiti i quali, di tanto in tanto, scendono in piazza al fatidico grido di “unità unità”. Non per acquisita saggezza, ma per mancanza di materia prima (idee e cultura politica) hanno smesso di combattere esiziali battaglie ideologiche. Sono una debolezza tranquilla. Preferiscono il terreno del posizionamento, della personalizzazione, delle narrazioni contrastanti. Purtroppo, non ci sono più i bambini di Andersen capaci di esclamare ad alta voce: “La regina (sinistra) è nuda” e – come aggiungo abitualmente – “pure brutta e miope”.

Ci sono soltanto due partiti di sinistra in tutta l’Europa (se i brexiters si risentono, peggio per loro) che superano la soglia del 30% di voti, il Partito laburista di Jeremy Corbyn (40%) e il Partito socialista portoghese (32%). Persino i leggendari socialdemocratici scandinavi si sono ormai stabilizzati da qualche tempo intorno al 25% che, talvolta, consente loro di andare al governo. Per tutti coloro che hanno, giustamente, guardato alla socialdemocrazia tedesca, grande è la tristezza. Anche se è in un governo che è difficile definire “grande” coalizione, la Spd al livello più basso di sempre del suo consenso elettorale è davvero il partner minore, junior. Tutto questo dopo che, come scrisse memorabilmente Ralf Dahrendorf, se non tutto il ventesimo secolo è stato socialdemocratico, quantomeno per più di cinquant’anni i socialdemocratici furono influentissimi. Non solo hanno guidato molti governi anche per lunghi periodi, ma le loro idee e le loro pratiche riformiste incisero profondamente nel tessuto sociale, economico e persino culturale di tutta l’Europa occidentale. Tranne l’Italia, poiché il Pci mai ebbe “cedimenti” socialdemocratici e il Psi mai ebbe abbastanza consenso elettorale, ma idee sì, con la Cgil che nulla cercò di apprendere dai potenti sindacati socialdemocratici.

La politica continua ad avere bisogno di organizzazione, di presenza sul territorio, di attività costanti e insistenti, ma gli attivisti delle (e nelle) sinistre sembrano scomparsi quasi dappertutto, persino in Andalusia, la culla del socialismo spagnolo. Sono poi effettivamente svaniti anche i dirigenti delle sinistre; sono costretto a usare il plurale, ma attenzione, non è vero che le sinistre europee sono plurali (o pluralistiche). Sono semplicemente disaggregate, particolaristiche, conflittuali. Nessuna narrazione, neanche le più retoriche, come quella di Walter Veltroni, può sostituire un’organizzazione e nel caso del neonato Partito democratico di organizzazione ne era rimasta poca tranne quella di alcune fazioni.

Però, se narrazione ha da essere, allora sono indispensabili due elementi: narratori credibili che conoscano la storia e rivitalizzino la memoria del loro partito, riuscendo a proiettarlo in un futuro difficile da immaginare, e un iniziale tessuto connettivo fatto di princìpi e convinzioni, di priorità e programmazioni, di analisi e proposte non occasionali, ma collegate a un passato di realizzazioni concrete. Per una molteplicità di buone ragioni la sinistra europea dovrebbe ricordarsi che si era proposta di perseguire non solo interessi di parte, ma di tutta la nazione e che, senza contraddizioni, si era regolarmente definita internazionalista, oggi europeista.

Parlare di diseguaglianze in modo credibile e denunciarle è essenziale purché se ne spieghino le origini e se indichino i rimedi. Pensare di potere ricostruire una sinistra plurale (o pluralista) e accogliente per gli elettori solamente come sommatoria dei diseguali non sembra la strada migliore. Poiché all’orizzonte non si vede una cultura politica che mette al centro di una società giusta la dignità e il riconoscimento del valore delle persone, è ora di elaborarla.

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