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Carige a un passo dalla salvezza. E stavolta l’Ue non potrà dire nulla

Il salvataggio di Carige parte da una base nuova: la sentenza su Banca Tercas (qui l’articolo con tutti i dettagli) che ha riscritto la giurisprudenza in materia di aiuti di Stato alle banche finite in crisi. La ricapitalizzazione della banca abruzzese da parte del Fondo interbancario per la tutela dei depositi (Fitd) non fu aiuto di Stato e questo per un motivo molto semplice. Il Fondo guidato da Salvatore Maccarone agisce sulla base di uno schema volontario cui aderiscono gli istituti che intendono partecipare a un salvataggio: soldi non solo privati, ma anche facoltativi. Per questo la soluzione che si profila per Carige dovrebbe agilmente superare l’ok della vigilanza europea, anche perché si tratta a tutti gli effetti di una soluzione di mercato, peraltro strada maestra indicata a più riprese dallo stesso ministro dell’Economia Giovanni Tria.

L’istituto genovese si sta avviando velocemente verso la soluzione alla sua crisi, iniziata un paio di anni fa con una crisi patrimoniale imputabile ad anni di bilanci in rosso (il 2018 si è chiuso con una perdita di 278 milioni) e mai veramente sanata. A dicembre scorso poi la situazione si è aggravata dopo che la famiglia Malacalza, azionisti di maggioranza relativa della banca ligure, si è rifiutata di sottoscrivere l’aumento di capitale da 400 milioni, infilando Carige in un vicolo cieco. Per fortuna si è fatto avanti il Fondo interbancario che ha sottoscritto un bond convertendo (l’obbligazione cioè può trasformarsi in azioni e dunque in capitale) da 320 milioni che ha dato alla banca la liquidità necessaria per rimanere in piedi ed evitare il crack. Adesso però la Bce si aspetta entro il 17 maggio il piano contenente l’offerta vincolante con cui portare a termine la ricapitalizzazione e dunque il salvataggio della banca.

Gli attori dell’operazione sono essenzialmente due. Da una parte il Fondo interbancario che ha accettato di convertire il bond in azioni innescando un apporto di capitale di circa 300 milioni. Dall’altra c’è BlackRock il fondo più grande e importante del mondo con 6 mila miliardi di masse gestite al 2018. Gli americani si preparano a un’iniezione cash che potrebbe toccare i 400 milioni che, sommati ai 300 in arrivo dalle banche che aderiscono allo schema volontario del Fondo interbancario, porteranno la ricapitalizzazione di Carige a 700 milioni, 70 in più rispetto ai 630 stimati dagli attuali commissari straordinari. Ma nonostante lo sfondamento del muro dei 700 milioni, nessuno tra BlackRock e il Fitd sembra aver intenzione di diventare azionista di controllo della banca. Verosimilmente dunque ci saranno due soci forti e poi una quota di capitale affidata alla Borsa. I Malacalza, azionisti al 27% del capitale, sembrano intenzionati a evitare brusche diluizioni nel capitale, anche a costo di nuovi esborsi di capitale. L’assenso della famiglia è però del resto essenziale per condurre in porto un’eventuale integrazione visto che qualunque deal dovrà passare al vaglio dell’assemblea straordinaria che oggi i Malacalza sono ancora in grado di condizionare.

Il piano BlackRock ha comunque paletti ben precisi. Innanzitutto un deciso taglio dei costi con il 50% delle filiali in meno e oltre 2 mila esuberi. E poi pulizia di bilancio profonda, con la volontà di far confluire il grosso degli Npl (1,9 miliardi di euro a valore lordo) presso la Sga, la società del Tesoro che si occupa della gestione delle sofferenze bancarie.

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