Oggi, intervistato da Giuseppe Sarcina del Corriere della Sera, il senatore americano Lindsey Graham manda spunti – o forse meglio: detta il senso – sulla filosofia con cui gli Stati Uniti di Donald Trump hanno intenzione di affrontare il rapporto con i paesi alleati e amici. In questo caso il paese di cui si parla è l’Italia, e dunque tutto diventa doppiamente interessante.
Prima di andare avanti, val la pena ricordare chi è Graham: formalmente presidente della Commissione Giustizia del Senato, sono gli aspetti informali del suo ruolo quelli importanti. In questa modalità, il senatore della South Carolina diventa il consigliere di Trump per quanto riguarda i dossier più caldi di politica estera. Graham è (era?) un repubblicano con visioni piuttosto classiche riguardo l’impegno americano nel mondo, e per questo durante le presidenziali del 2016 considerava Trump “unfit” per il ruolo da presidente. Ma dopo una conversione tardiva è diventato rapidamente un falco, uno degli intimi dello Studio Ovale con cui il Prez si confronta, uno dei pochi che ascolta, uno dei link che il Partito Repubblicano usa per mantenere un minimo di contatto, un fronte sulle linee più distruptive dell’inquilino della Casa Bianca.
Premessa necessaria per capire che quel che dice al CorSera ha valore, un valore praticamente programmatico. E Graham parte subito con una bomba: “Nel Nordest della Siria ci sono due rischi gravi: il ritorno dell’Isis e il possibile scontro tra la Turchia e le forze democratiche siriane. Gli Stati Uniti stanno formando uno schieramento composto da interporre tra la Turchia e i curdi. Noi chiediamo all’Italia di partecipare, di contribuire con un contingente militare, insieme con la Francia, Gran Bretagna e altri. Chiediamo all’Italia di aiutare l’America a stabilizzare quella regione, sarebbe un segnale nella continuità della forte relazione che esiste tra noi e il vostro Paese che consideriamo uno dei nostri alleati più importanti”.
Nei giorni in cui Trump aveva annunciato il ritiro completo e incondizionato dalla Siria – fine dicembre 2018 – Graham, contrarissimo (era una decisione “Obama-like” disse, alzando il massimo livello di insulto contro una presidenza che da sempre ha lavorato per affrancarsi dal liberal per antonomasia che l’ha preceduto). Era andato alla Casa Bianca, e uscito da un pranzo domenicale di lavoro aveva detto di essersi rasserenato. Aveva incassato il consenso del presidente quando gli aveva proposto una permanenza di almeno quattro mesi (che teoricamente stanno scadendo, ma poi Graham e altri settori della National Security hanno ottenuto proroghe praticamente a tempo indeterminato). Più un piano per riequilibrare gli impegni anche attraverso il coinvolgimenti di alcuni partner (europei e regionali). È questa la doppia dimensione di Graham: incastra le linee classiche con quelle trumpiana, dialoga, contratta. Perciò piace a Trump.
Ora ci dice questo: per come Washington vede il rapporto con Roma, il governo italiano dovrebbe accettare di inviare boots on the ground in una missione simile a quelle tipiche dei peacekeeper onusiani per evitare che la fascia settentrionale del paese scivoli di nuovo nel caos. È una richiesta diretta, senza fronzoli, che arriva seguendo una traiettoria piuttosto nota: il riequilibrio trumpiano, l’idea che gli Stati Uniti non possono più far tutto da soli, e che le alleanze servono anche a sollevare di qualche peso Washington. Non va però verso un disimpegno totale, ma è per un impegno condiviso. Siamo alleati? Allora dividiamoci i compiti per mantenere una presenza che ha valore di imprinting comune.
Segue quello che una fonte diplomatica dell’ambiente italo-americano ci sintetizzava in: gli americani “non intendono più concedere pasti gratis”. Ed è lo stesso Graham a dirlo ancora piuttosto chiaramente, quando spiega che se gli italiani aiuteranno gli Stati Uniti a sollevarsi un po’ dal peso della Siria (e dunque nella stabilizzazione delle regione mediorientale) allora Washington potrebbe fare qualcosa di più sulla Libia – dove il senatore ammette: “Dovremo fare di più”, ma assicura di impegnarsi per far sì che l’amministrazione Trump sia più presente sul dossier che sta più a cuore all’Italia.
Dice Graham: a quel punto “metteremo in campo la nostra iniziativa diplomatica per fermare quella che è una proxy war. Dalla parte di Tripoli, abbiamo la Turchia. Con Haftar troviamo Egitto e Arabia Saudita. Sono tutti nostri alleati. L’amministrazione Trump può convincerli a fermarsi. Ripeto: sarà un nostro impegno e contiamo di collaborare con l’Italia, che ha una grande conoscenza di quel Paese, per raggiungere una soluzione diplomatica”.
Nei giorni scorsi, il premier italiano, Giuseppe Conte, che insieme all’Aise si è intestato il dossier libico personalmente, aveva parlato già di come le connessioni con Washington stiano aumentando in questa fase in cui la Libia rischia di scivolare nuovamente in una guerra civile, prodotta dallo stallo dell’avanzata del signore della guerra della Cirenaica, Khalifa Haftar, su Tripoli. Italia e Usa, diceva Conte, sono impegnate nel pressare Haftar, fermarlo e riprendere il percorso senza armi.
Altri due argomenti affrontati da Graham rendono ancora più chiara questa lezione sui nuovi Stati Uniti. Primo, la Cina: “Per quanto riguarda il memorandum di intesa firmato dall’Italia, devo dire che sono stato rassicurato dalle spiegazioni del ministro degli Esteri e dell’ambasciatore italiano a Washington”; il senatore conferma le preoccupazioni per l’esposizione italiana a Pechino, ma cerca di trovare una via delicata per affrontarla. Secondo, la Russia: “Anche noi dialoghiamo con la Russia. Ma un conto è dialogare e un conto è concedere dei vantaggi”; nei giorni scorsi Washington aveva richiamato l’Italia perché i partiti al potere, soprattutto la Lega, avevano un atteggiamento ambiguo nei confronti di Mosca.
In mezzo: un richiamo alla Germania, che esce dalle linee comuni concedendo quei “vantaggi” alla Russia sposando il gasdotto Nord Stream 2. E un altro alla Francia, tirata in ballo sulle politiche commerciali e la reciprocità sui mercati: “Il problema principale è il protezionismo europeo, in particolare dei francesi, sui prodotti agricoli”. Le critiche a Berlino e Parigi sono un assist al governo giallo-verde che è stato spesso critico con Germania e Francia. Nei prossimi giorni il senatore sarà in Italia, alla guida di una delegazione di congressisti: vedrà il presidente della Repubblica e il ministro degli Esteri.