La Pasqua sarà appena trascorsa, ma la successiva non potrà che essere comunque una settimana di passione per l’economia italiana. Venerdì 26 Aprile vi sarà il responso di Standard & Poor’s. Meglio incrociare le dita e sperare che le polemiche recenti (Iva, tassa piatta, difesa del ceto medio e via dicendo) non avvelenino ulteriormente il clima. Sarebbe l’ingrediente in grado di favorire l’ulteriore declassamento dei titoli italiani del debito pubblico, con conseguenze disastrose. Subito dopo, il 7 maggio, si pronuncerà la Commissione europea, come già annunciato dal Comissario Pierre Moscovici. Che, a sua volta, non potrà non tener conto dell’eventuale reazione dei mercati.
Tra le due possibili rapide appena indicate, scorre il torrente di un confronto parlamentare, che si preannuncia a dir poco vorticoso. La risoluzione sul Def, in un periodo di normalità è poco più di un atto dovuto. La maggioranza la presenta, dopo averla concordata con il ministro dell’economia. L’opposizione ne elabora un’altra di segno contrario. Si discute un po’ nelle aule parlamentari, intervallando il tutto con la presenza di esperti, chiamati a dire la loro: dalla Banca d’Italia, all’Istat, alla Corte dei conti. Quindi si tira una linea e si approva la mozione della maggioranza. Respingerla porterebbe, immediatamente, alla crisi di governo.
Quest’anno la procedura rimane la stessa, ma il clima politico è profondamente cambiato. Si dovrà, innanzitutto,valutare il parere dell’Ufficio parlamentare del bilancio, che farà le pulci ad un documento che non brilla certo per chiarezza e determinazione. Parere che rimbalzerà da Roma a Bruxelles. L’Upb è stata una creatura delle regole del Fiscal compact: voluto proprio dalla Commissione europea per porre un argine alla fantasia dei singoli governi, portati, naturalmente, a vendere come oro del semplice ottone. Se il parere dell’Ufficio sarà quello che dovrebbe essere, è facile prevedere una sorta di reazione a catena. Inciderà sul dibattito in Parlamento, quindi tracimerà nel momento in cui Standard & Poor’s dovrà esprimere il voto. E tutto si rifletterà, infine, sul giudizio della Commissione per le sue successive determinazioni.
Vi fosse un governo compatto a sostenere l’inevitabile urto, sarebbe già qualcosa. Ma la maggioranza parlamentare è tutt’altro che unita. Matteo Salvini vuole la “tassa piatta”. Uguale per tutti, seppure con la necessaria gradualità. Luigi Di Maio, la vuole, invece, biforcuta: più bassa per i ceti abbienti, più alta per il ceto medio leggermente benestante. Un bel niente per i riccastri che, com’è noto, devono piangere. Come del resto è già avvenuto per i pensionati. Si troverà un compromesso? È possibile, meglio inevitabile. Ma sarà comunque faticoso. Dietro ogni singola parola si annida, infatti, una piccola trappola mediatica che sarà sfruttata dall’uno o dall’altro in chiave elettorale. In una competizione in cui si decide chi sarà il possibile futuro leader (Matteo Salvini o Luigi Di Maio) ogni cosa, come in amore o in guerra, è lecita e permessa. Tanto più che l’opposizione sembra essere chiamata a fare solo da tappezzeria.
C’è un modo per uscire da questa non entusiasmante situazione? Forse ci sarebbe. Ma occorrerebbe un bagno di umiltà. Riconoscere che il condizionamento estero non è una tigre di carta. Che si può naturalmente contrastare, ma non ignorare. E contrastarlo significa avere la forza di argomentare con serietà circa una possibile strategia alternativa. O meglio “non convenzionale”, com’è stata la politica monetaria voluta da Mario Draghi, contro una vecchia ortodossia, a sua volta figlia di uno status quo mantenuto a difesa di un establishment, che non intendeva rinunciare ai propri privilegi.
A questo dovrebbe mirare il dibattito parlamentare. Una riflessione a tutto tondo sui limiti e l’impossibilità di perseguire le politiche sperimentare in passato, per impegnare il governo nella ricerca (diremmo) di una “terza via”. Se il termine non fosse obsoleto. Possibile solo dopo un grande consulto in grado di ricercare le possibili soluzioni. In questo sforzo comune, maggioranza ed opposizione, dovrebbero attenuare le divergenze di brevissimo periodo e far emergere, invece, una comune volontà. Operazione indubbiamente difficile, dato il clima elettorale. Ma proprio a causa di questa impervia congiuntura politica più denso di implicazioni positive, specialmente agli occhi di quell’opinione internazionale che non aspetta altro che il crucifige. Con ogni probabilità non sarà così. Avremo solo le solite scaramucce. Il migliore dei mondi, secondo la maggioranza. Il peggior male possibile, secondo le opposizioni. Il modo più facile per salvarsi la coscienza. Almeno fino al 26 Aprile, quando si conosceranno i primi responsi.