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Libia, chi c’è dietro l’avanzata di Haftar in Tripolitania

Libia

L’avanzata di Khalifa Haftar, iniziata a Jufra il 4 aprile scorso, è passata dal Sud, dal Fezzan, e, in parte, dal Centro della Libia, partendo dal punto più ad ovest dell’area di influenza già guadagnata da lui stesso nelle scorse avanzate. Il sostegno alle sue azioni contro la Tripolitania, che nasce da antichissime tensioni (il Re senussita Idris si vantava di non aver mai messo piede a Tripoli) si è materializzato con il sostegno dell’Egitto, degli Emirati Arabi Uniti, dell’Arabia Saudita e della Federazione Russa. E dalla Francia, in particolare. Ma altri sono, e saranno, gli amici futuri delle forze di Haftar, se egli vincesse su tutto il territorio libico. Perché tanti alleati? Intanto, l’Arabia Saudita considera, in primo luogo, Haftar come un avversario del terrorismo islamico, il primo vero pericolo del Regno. Anche gli Emirati Uniti, comunque, partono da questa prima valutazione. Sia gli Uae che Riyadh hanno, peraltro, finanziato ampiamente il golpe di Al-Sisi contro la Fratellanza Musulmana dell’allora presidente Mohammed Morsi, nel 2013.

Gli Emirati hanno, poi, partecipato alle negoziazioni segrete, la scorsa estate, per far esportare il petrolio libico attraverso canali esterni da quello approvato dall’Onu, ovvero la National Oil Corporation di Tripoli. Le forze di Haftar hanno già re-direzionato le spedizioni di petrolio dai porti da esse controllati, per diverse migliaia di barili di petrolio. I sauditi e gli emiratini hanno, inoltre, finanziato le campagne elettorali dei candidati del generale di Bengasi, e questo è un problema vicino a noi, perché le prossime elezioni, che l’emissario dell’Onu Ghassam Salamè, alla Conferenza di Palermo, ha annunciato per la prossima primavera, saranno comunque decisive, chiunque le paghi. E che, comunque, saranno bloccate, sempre sine die, dalla ormai evidente guerra civile per procura che si sta svolgendo in Libia. Inoltre, Haftar ha iniziato l’offensiva del 4 aprile non senza aver prima avvisato il principe emiratino Mohammed bin Sayed al Nayan il 2 aprile e il re (ma non il principe facente funzione) saudita Salman bin Abdulaziz il 27 marzo scorso. La penetrazione in Tripolitania era già stata programmata, militarmente, da Haftar con entrambi i dirigenti, sauditi e emiratini, con cui ha avuto segretissimi contatti.

La volontà politica dei due stati arabi della penisola è quella di porre il governo di Al Serraj a Tripoli sotto una tale pressione, e così forte, da far accettare a Al Serraj l’accordo che era stato definito negli incontri in Abu Dhabi con lo stesso Haftar il febbraio 28 scorso. Ad Abu Dhabi si doveva discutere in primo luogo, del campo petrolifero di Sharara, il più importante della Libia, in mano alle forze di Haftar, poi della unificazione progressiva delle due strutture statali. La firma di questo comunicato che affermava, sine die, l’unione burocratica delle due Libie è stato accolto con favore ovunque, ma era, evidentemente, scritto sulla sabbia del deserto. Per Sharara, il premier Al Serraj ha accettato la cessione di 300mila barili/giorno, gestito dalla Noc libica, dalla spagnola Repsol, dalla Total, dalla Omv austriaca, e dalla norvegese Equinor.

Ma, per ora, non ci sono progressi. La “conferenza nazionale libica”, che la precedente Conferenza di Palermo aveva definito per la fine del gennaio 2019, non si è comunque mai tenuta, malgrado la passione per essa dimostrata da Ghassan Salamè, inviato dell’Onu per la Libia. La Francia ha inviato i suoi operativi della Dgse nell’area di Haftar alla fine del 2015, accampati vicino alla base aerea di Bengasi. Cosa vuole la Francia da Haftar? Chiudere lo spazio maghrebino alle influenze altrui, soprattutto italiane, per costruire un grande spazio della Françafrique dal centro-Africa a tutte le coste africane del Mediterraneo salvo l’Egitto, che è un boccone troppo grosso per quelle forze (Francia e Gran Bretagna) che dovettero perfino fermarsi, per mancanza di munizioni, durante la prima fase della “conquista” della Libia gheddafiana, e chiamarono gli Usa.

Poi, certamente, Parigi vuole, tutto intero, il petrolio libico, che è ormai nelle mani del generale di Bengasi. E la Federazione Russa? Mosca sostiene, ma molto sui generis, Haftar, che infatti, mentre scrivo, è proprio in colloquio con Vladimir Putin, per due motivi: vuole vendere armi all’Esercito Nazionale Libico, ma anche evitare la concorrenza dell’Arabia Saudita, che è anch’essa grande produttore di petrolio e potrebbe associare gli idrocarburi libici ai propri, diventando, rapidamente, il massimo, senza confronti, esportatore di greggio del mondo. Qui, Opec o non-Opec, la situazione non cambia: il prezzo del barile lo farebbe Riyadh. Gli alleati di Mosca in loco non sono omogenei, nelle loro alleanze. Turchia e Algeria sostengono Al Serraj, gli altri sul terreno, lo abbiamo visto, Khalifa Haftar.

E c’è anche la possibilità di una base militare russa sulle coste della Cirenaica, quando Haftar vincerà completamente la partita. Ma già si dice che siano presenti, nell’area delle forze di Bengasi, gli uomini, russi, del Gruppo Wagner, il principale gruppo militare privato utilizzato da Mosca. Alla fine del 2018, il quotidiano russo Rbc riportava che vi erano “truppe russe in Libia”. Le forze di Khalifa Haftar, l’Esercito Nazionale Libico, sono passate dal Fezzan, attraverso i territori delle varie tribù del posto, in due modi: con le buone, e non solo recenti, buone relazioni con quel modo tribale, oppure con grossi pagamenti in denaro. La prima linea di avanzata dell’Esercito Libero di Bengasi è stata tra i Bani Walid e i Sabratha, verso Gharyan, il punto di passaggio da Sud verso Tripoli. Alla fine di marzo, molte brigate locali, tribali e non, avevano cambiato fronte, a favore di Haftar, soprattutto grazie all’esempio della 7° Brigata “Al Khaniat” da Tarhouna, che ha iniziato a combattere con l’Esercito Nazionale di Bengasi che è infatti avanzato attraverso i quartieri meridionali di Tripoli. L’attacco della 7° Brigata ha sortito, probabilmente l’effetto inverso, facendo rimanere fedeli, ma non si sa per quanto, alcune brigate tripoline al governo di Al Serraj.

Anche i “moderati” di Misurata, comandati dall’attuale ministro degli Interni di Tripoli, Fathi Bachaga, che fino ad oggi erano aperti a trattative future con Haftar, si sono irrigiditi a difesa di Tripoli. Le truppe di Misurata, la “Sparta” libica, contano 15.000 uomini, e farebbero la differenza in ogni futuro scontro. Misurata ha peraltro già mobilitato le sue forze militari, ma per ora c’è solo una piccola forza misuratina a fianco delle altre forze di Tripoli. La Bengasi Defence Brigade, che peraltro include alcuni elementi originari di Misurata, e la milizia Halbous hanno invece accettato di far parte della controffensiva di Tripoli. I soldi (altrui) contano. Le Forze di Zintan, altro centro militare di rilievo delle forze armate di Tripoli, sono divise tra il gruppo ancora fedele al governo tripolino del Gna, comandate da Oussama Al Jouili e Emad al Trabelsi, mentre tutti gli altri sono passati dalla parte di Haftar. E Haftar è ancora pieno di munizioni, peraltro.

La Milizia Rada, comandata da Abdelraouf Kara, non ha ancora compiuto alcuna scelta. Oggi si chiama “Unità per la Prevenzione del Crimine Organizzato e del Terrorismo” e controlla i punti nevralgici di Tripoli. Quindi, se vincerà Haftar, la vecchia Rada starà dalla sua parte. Haftar ha già avuto contatti con questa organizzazione, che è affiliata allo stesso movimento salafita makhdalista che già opera a favore del generale di Bengasi a Est. La forza della setta africana salafita, che mira ad un jihad africano e libico, non deve essere certo sottovalutata. La strategia di riproporre, con la forza, l’accordo di Abu Dhabi ad al Serraj, che ne risulterebbe, ovviamente, indebolito, è sostenuta, dalla parte di Haftar, dalla Russia, che, guarda caso, ha votato una mozione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che condanna l’avanzata di Haftar.

L’Egitto stesso ha qualche timore per l’attuale avanzata delle forze di Bengasi, che teme possano avere ripercussioni sia sui molti lavoratori egiziani ancora presenti in Libia, sia per gli equilibri interni al Paese. La Francia ha sostenuto, anche con i suoi operativi, e non solo della Dgse e del Service Action dei loro Servizi, l’avanzata di Haftar, che Parigi ritiene l’unico argine contro il terrorismo, ma anche il modo per riprendersi la Libia dopo il disastro delle operazioni seguite alla detronizzazione di Gheddafi nel 2011. E Haftar è un dichiarato gheddafiano, come ha dimostrato facendo imprimere l’immagine del rais sulla sua carta-moneta, stampata in Russia. La Francia, peraltro, ha grandemente favorito la avanzata di Haftar nel Fezzan raccogliendo, e cedendo al generale di Bengasi, l’intelligence raccolta da un aereo-spia fornito dalla Cae Aviation, una società che appartiene alla Dgse e, in particolare, al suo Service Action.


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