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Il dossier Libia al G7 in Francia. Le mosse di Moavero e della comunità internazionale

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Non sono bastati il fascino e la bellezza di Amal Clooney a dissipare le nubi che si sono addensate sulla ministeriale del G7 dei ministri dell’Interno, riversando una copiosa pioggia sui grandi della Terra. Mentre, a sorpresa, nella cittadina bretone di Dinard, arrivava anche l’avvocatessa più glamour del pianeta per una conferenza sulla libertà di stampa, nelle stesse ore, dalle agenzie fioccavano continui aggiornamenti sull’avanzata delle forze del generale Khalifa Haftar: nel tardo pomeriggio aveva il controllo di Qasr Bin Ghashir, vicino all’aeroporto internazionale, a circa 25 km dal centro di Tripoli. Entro sera, il tentativo del segretario delle Nazioni Unite Guterres che aveva incontrato il generale a Rajma era fallito.

La Libia occhio del ciclone delle tensioni nord africane e cartina di Tornasole dell’insieme di rapporti internazionali che vi orbitano attorno, senza escludere quelli specifici tra Italia e Francia. Oggi e domani è prevista un’altra ministeriale, quella dei ministri degli Esteri del G7 a cui parteciperà il nostro titolare della Farnesina, Enzo Moavero Milanesi. Fitti saranno i colloqui con il collega francese per trovare una soluzione al caos libico, assente invece il delegato Usa, Mike Pompeo.

E poi c’è stata la richiesta del cessate il fuoco dell’Onu. Vero grande sconfitto, disconosciuto, al limite del ridicolo, dal generale Haftar. Riunito in emergenza nel Consiglio di sicurezza. Sostenuto dal G7 in una dichiarazione congiunta che chiede il rispetto di quanto “concordato dalle parti libiche a Parigi nel maggio 2018 e a Palermo nel novembre 2018”. Ma i suoi appelli restano lettera morta. Il segretario generale, Antonio Guterres ha abbandonato l’incontro con Haftar con queste parole: “Lascio la Libia con il cuore pesante e profondamente preoccupato”. Solo poche ore prima, arrivando a Tripoli, aveva cinguettato «totalmente determinato a sostenere il processo politico in questo Paese per guidarlo verso la pace, la stabilità la democrazia e la prosperità». Difficile immaginare cosa sarà ora del Conferenza nazionale a Ghadames per il 14-16 aprile, convocata proprio dalle Nazioni Unite, con l’inviato Ghassan Salamè. Che forse invece si farà, perché secondo alcuni analisti, tutto il “manicomio” tirato messo in piedi nel giro delle ultime 48 ore dal Generale avrebbe anche lo scopo di arrivare a quell’incontro per sedersi a capo tavola.

Coincidenza più o meno casuale, proprio poco prima che iniziassero gli scontri il presidente americano Donald Trump ha annunciato la nomina di Richard B. Norland, diplomatico di lungo corso, come nuovo ambasciatore straordinario e plenipotenziario in Libia. Lo riferisce un comunicato stampa della Casa Bianca. Intanto, due giorni dopo l’appuntamento di Washington, per il settantennale Nato, a cui l’Italia ha partecipato nelle vesti di sorvegliato speciale (per l’adesione alla Bri cinese, per la debole quanto vaga presa di posizione sul dossier Maduro), in queste ore, Il segretario alla Sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Kistjen Nielsen conferma a Salvini che “gli Usa contano sull’Italia”.
E in Libia, dove sono già arrivati cinesi e russi, i militari Usa non vogliono rimanere indietro.

Sullo scacchiere libico sono ormai presenti anche i players della Penisola arabica. Se agli Stati Uniti può tornare utile la presenza saudita come un elemento di limitazione delle mire cinesi (e proprio sulle relazioni Riad-Pechino si giocherà il futuro dell’alleanza con Washington), i sauditi, invece, temono che il paese possa finire in mano a partiti-milizia islamisti troppo legati ai Fratelli. Il mese scorso Haftar era ad Abu Dhabi, mentre Al Serraj, rispettivamente il 10 e il 21 marzo, era in Qatar e in Turchia, ospite dei due più grossi sponsor della Fratellanza musulmana.

Anche l’Italia sostiene Fayez Al Serraj, che di certo è anche il rappresentante di una istituzione, il Consiglio Presidenziale, sede del governo libico di unità nazionale (Gna) designato con una procedura benedetta dalle Nazioni Unite e sostenuta da tutti gli Stati e dalle istituzioni internazionali coinvolte nel tentativo di stabilizzazione della Libia. Ma un grande motivo per cui ci troviamo ad appoggiare un governo sostenuto da Turchia, Qatar e Fratelli Musulmani, è che in Tripolitania l’Italia ha fino al 70% dei suoi interessi economici e del petrolio dell’Eni, insieme al gasdotto Green Stream che copre una parte delle nostre forniture.

Quanto al generale Haftar, può contare sul generale egiziano Al Sisi, suo sponsor insieme a Russia, ai già citati Emirati, Arabia Saudita, e anche alla Francia. La stessa Francia membro del G7, della Nato e dello stesso Consiglio di sicurezza Onu. Le stesse Nazioni Unite che, invece, giova ricordarlo, hanno messo il cappello su Al Serraj.

E sarebbe proprio la Francia ad aver dato Il via libera all’avanzata su Tripoli. Il semaforo verde, secondo il sito di analisi ‘Security Libya studies’, sarebbe scattato da Parigi nel corso di un incontro sulla sicurezza a Bengasi. Secondo fonti citate dall’Agenzia Adnkronos, in un incontro alcuni giorni fa con il vice premier del governo di accordo nazionale, Abdulsalam Kajman, l’ambasciatrice francese in Libia, Beatrice Le Fraper Du Hellen, ha avvertito che se il premier Fayez Serraj non avesse firmato l’accordo di Abu Dhabi del 26 febbraio scorso con Haftar, il generale sarebbe entrato nella capitale per riportare l’ordine.

Nessuno, forse vuole veramente arrivare ad una guerra che potrebbe continuare ad libitum, facendo precipitare il Paese in un incubo di sangue e sofferenza. Non sarebbe questo ciò che vuole Haftar mentre aizza quell’insieme di miliziani e truppe regolari che formano l’Esercito nazionale libico (Lna) di cui e’ comandante generale, al grido di: “Eccoci, Tripoli. Eccoci, Tripoli”, evocando una formula islamica legata al pellegrinaggio alla Mecca. Il suo obiettivo è quello di non consegnare il paese ai Fratelli Musulmani. Ma per questo, fino a quale punto è pronto ad arrivare?

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