Skip to main content

Brucia la Libia, Haftar marcia verso Tripoli. Interviene l’Onu, tace l’Italia

haftar

Dichiarando di voler liberare anche la Tripolitania dal terrorismo, le truppe del Feldmaresciallo Khalifa Haftar sono giunte ad appena cento chilometri da Tripoli. Le forze di protezione della capitale libica, un’alleanza di milizie collegate al governo guidato da Fayez al Serraj, hanno dispiegato un cordone di protezione intorno alla capitale alla luce dell’avvicinarsi di un convoglio militare dell’esercito di Haftar. In una nota il comando tripolino fa sapere di aver adottato una serie di misure al termine della riunione dei vertici delle forze militari della Tripolitania convocata ieri per preparare la difesa di fronte ad un eventuale attacco.

La situazione è attentamente monitorata anche dall’Onu attraverso i più alti vertici. A rilasciare una dichiarazione è stato direttamente il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che si è detto “profondamente preoccupato per le manovre militari che si svolgono in Libia e per il rischio di scontri”. Guterres, arrivato ieri sera a Tripoli, insiste che “non esiste una soluzione militare. Solo il dialogo intra-libico può risolvere i problemi libici”. In un tweet invita quindi alla “calma e moderazione” mentre si prepara ad incontrare i leader del Paese.

Chissà se il messaggio sarà pienamente recepito dal Generale Haftar, il quale, con l’avvicinarsi della conferenza di Ghadames prevista tra 10 giorni tra tutte le fazioni del Paese, ha ormai deciso di aumentare il proprio potere contrattuale al tavolo delle trattative imponendosi con la forza. L’esercito del Feldmaresciallo era già riuscito nelle scorse settimane a prendere il possesso dei territori di confine con l’Africa subshaariana, poi aveva proseguito verso Nord, spingendosi a pochi chilometri da Misurata, lì dove è stato allestito un ospedale di campo dall’Italia nell’alveo della Missione Ippocrate.

La prova di forza del Feldmaresciallo non è certamente risolutiva: le sue truppe, con accordi variabili con le varie tribù del Paese, non riescono ad avere il pieno controllo di tutti i territori. Si tratta di presenze “a macchia di leopardo”. Un conto è avanzare militarmente, tutt’altra questione sarebbe avere il pieno e diretto controllo dei territori che l’esercito di Haftar non avrebbe il potere di gestire nonostante gli aiuti – diretti e indiretti – dei Paesi stranieri che lo sostengono.

Russia, Egitto, Francia soffiano alle spalle del Generalissimo della Cirenaica. Il tutto a danno dell’Italia che negli ultimi anni, da quando è stata riaperta l’ambasciata italiana a Tripoli, è riuscita a creare un filo diretto con il debolissimo governo guidato da Serraj mentre – anche causa influenze terze – poco è riuscita a dialogare con Haftar. Inspiegabile, alla luce delle ultime evoluzioni, pare essere stata anche la scelta di cambiare in corsa il valido ambasciatore Giuseppe Perrone (dislocato a dirigere la sede diplomatica di Teheran) con Giuseppe Buccino. La situazione negli ultimi mesi è infatti precipitata. Ora a Roma ci si ritrova a gestire una situazione potenzialmente esplosiva, sia per gli interessi economici nazionali nel Paese nordafricano e, soprattutto, sulla questione dei flussi migratori che, venendo meno determinati accordi con alcune tribù libiche, potrebbero riesplodere clamorosamente con l’avvicinarsi dell’estate e del bel tempo.

Non pervenuta, praticamente mai, una posizione ufficiale italiana sulla questione libica, a parte le solite dichiarazioni da protocollo utilizzate in ambito diplomatico. Il tutto mentre oggi a Washington si festeggiano i 70 anni della Nato con i ministri degli Esteri riuniti nella capitale Usa, mentre il prossimo fine settimana un’altra ministeriale, ma del G7, vedrà impegnati ancora i ministri degli Esteri per discutere degli assetti geopolitici mondiali. Inevitabile, a questo punto, che non si parli di Libia, dell’avanzata di Haftar e delle ormai sempre più forte contrapposizioni sullo scacchiere libico da parte dei Paesi stranieri che hanno influenze nel territorio nordafricano. L’Italia, di certo, non può più restare a guardare.



×

Iscriviti alla newsletter