Perché il generale Haftar ha deciso di premere sull’acceleratore proprio adesso? E chi ne paga le conseguenze politiche su scala internazionale? Non è semplice rispondere alle due domande, ma non è nemmeno impossibile, pur rimanendo dentro i limiti di ciò che gli analisti più accreditati dicono in prima persona (anche off the records naturalmente), cioè senza prendere per buone le versioni più maliziose o luciferine.
Le risposte “ragionevoli” disponibili sono essenzialmente queste: Haftar fa tutto ciò perché si avvicina la conferenza internazionale sulla Libia di metà aprile ed intende fissare un punto fermo per l’oggi e (soprattutto) per il domani, cioè chiarire che lo status quo non gli sta bene, perché lui ha la forza per modificarlo.
Quanto al soggetto che ci rimette (almeno sul breve periodo) non vi è dubbio che quel soggetto è l’Italia, cioè il più autorevole Paese che sostiene l’ormai vacillante Fayez al-Serraj ed il suo governo con sede a Tripoli.
Parliamoci chiaro, l’Italia paga anche le conseguenze della fuga in avanti messa in atto con l’accordo siglato con Xi Jinping a Roma pochi giorni fa. Se da un lato infatti sarebbe improprio indicare l’iniziativa di Haftar come una vera e propria ritorsione americana, dall’altro è però evidente che l’Italia ha deciso di marciare per conto proprio nel dialogo con il Dragone d’Oriente, anche se ora chiede aiuto proprio agli Usa – invocando una cabina di regia – per superare la crisi libica.
Quindi è comprensibile che gli altri protagonisti della scena occidentale ne prendano atto con un certo disappunto, decidendo, ad esempio, di togliere il piede dal freno sul fronte libico, mettendo quindi tutti (Italia per prima) di fronte al fatto che di qui in avanti saranno sempre meno validi i vecchi schemi e sempre più in vigore il nuovo “ordine”, nel quale ognuno tesse la propria tela.
Vale per francesi e inglesi (che sulla Libia hanno già fatto molti disastri), ma vale anche per americani e russi (peraltro Putin sarà a breve in Italia) e, soprattutto, per turchi, egiziani e sauditi.
Insomma la Libia, che è tre volte importante (per il petrolio, per l’immigrazione e per la sua collocazione a metà strada tra Algeria ed Egitto), diventa ancora di più “terra di nessuno” e ancor meno un protettorato italiano, poiché noi siamo più deboli sulla scena internazionale e quindi meno credibili come garanti degli equilibri a Tripoli e Misurata. In politica estera tutto si tiene, deve essere ben chiaro ai nostri governanti. Non a caso al Quirinale la preoccupazione si taglia a fette.