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La Libia chiede all’Italia una sponda per la Conferenza Onu

libia palermo

Sia Conte sia il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi incontreranno a Roma Ghassan Salamé rappresentante speciale della Nazioni Unite per la crisi libica che dalle pagine del Corriere della Sera ha esplicitamente chiesto all’Italia di “chiedere la tregua” per rimettere in piedi l’iniziativa politica che è “l’unica possibile per evitare la catastrofe”.

Salamé vorrebbe cercare la sponda (anche) dell’Italia per riorganizzare la Conferenza Onu –da lui pensata e lanciata durante la riunione di Palermo di ottobre 2018. Era programmata per il 13-14 aprile a Ghadames, confine tunisino, ma è saltata a data da destinarsi dopo l’aggressione su Tripoli da parte del signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar. Per Salamé, la conferenza Onu è ancora “essenziale”.

Un ponte è arrivato dalla Russia: durante il forum sulla sicurezza internazionale a Mosca (MCIS), organizzato dal ministero della Difesa russo, il capo della diplomazia del Cremlino Sergei Lavrov ha detto che “alternative alla decisione pacifica del conflitto in Libia non ci sono: i player esterni non dovrebbero avere un impatto diretto sulla situazione”, sottolineando come debbano essere le struttura internazionali a gestire la situazione.

Mosca, negli anni scorsi, aveva sposato con poca convinzione il progetto Onu che aveva portato a insediare a Tripoli Fayez Serraj alla guida del Governo di accordo nazionale (Gna) e si era mostrata in più di un’occasione dietro all’autoproclamato Feldmaresciallo anti-islamisti Haftar.

Ieri il ministro degli Esteri italiano Enzo Moavero Milanesi ha ospitato l’omologo emiratino, Abdallah Bin Zaied Al Nahyan, con cui hanno parlato dei “più recenti sviluppi in Libia”, dice la Farnesina . Gli Emirati Arabi sono, insieme all’Egitto, i due grandi sponsor di Haftar, e sono accusati in questi giorni di aver aumentato la sofisticazione della guerra col sostegno aereo (tramite droni) alle sue milizie.

Per questo l’incontro con Moavero è piuttosto importante, e si inserisce nel quadro in cui l’Italia sta giocando il proprio ruolo di mediazione tra i due fronti. Lunedì 15 aprile a Roma c’era Mohammed Al-Thani ministro degli Esteri e vicepremier del Qatar, attore che invece supporta le forze di Tripoli e Misurata (la città-stato che insieme alle milizie tripoline si occupa della sicurezza del governo Onu) e che vive con gli Emirati Arabi e con l’Arabia Saudita (ma anche con l’Egitto) una fase di relazioni tagliate.

Il 19 aprile, inoltre, Moavero aveva ricevuto il ministro degli Esteri francesi Jean-Yves Le Drian: “Le nubi sono diradate – aveva detto Le Drian – Abbiamo vissuto periodo difficile, oggi queste difficoltà sono state superate, la nostra convergenza odierna lo dimostra”. La Francia è accusata di tenere sulla Libia un atteggiamento ambiguo dal governo Serraj: mentre ha firmato un comunicato ministeriale congiunto con i colleghi del G7, dando pieno sostegno al piano Onu, sul campo sembra appoggiare in forma clandestina Haftar.

Ieri, per esempio, Radio France International, citando fonti dalla presidenza tunisina, ha detto che i tredici cittadini francesi fermati nei giorni scorsi al confine tra Libia e Tunisia mentre lasciavano Tripoli “non sono diplomatici come dichiarato da Parigi, ma agenti dei servizi segreti”.

Dal campo, sembra che l’avanzata su Tripoli del Feldmaresciallo vada non troppo bene: le milizie fedeli a Haftar sono pressate dalle forze che difendono Fayez Serraj. Fonti da Misurata dicono che la città di Aziziya, hinterland meridionale della capitale, è completamente sotto il controllo del Gna e che il prossimo passo sarà l’attacco a Garyan, poco più a sud, dove Haftar ha piazzato il centro di comando dell’offensiva.

Il successo via via accumulato nella controffensiva dai pro-Serraj ha portato Tripoli e Misurata a dettare una condizione per il cessate il fuoco: il ritiro completo di Haftar dai settori occidentali della Libia, questione che il Feldmaresciallo non accetta, perché se le armi si deponessero adesso avrebbe comunque guadagnato una fetta considerevole di terreno.

Ieri c’è stata la riunione della cosiddetta “Troika per la Libia” – il meccanismo con cui  l’Unione africana ha affidato a Egitto, Ruanda e Sudafrica la cabina di regia sulla crisi a Tripoli. Il vertice s’è chiuso con una dichiarazione laconica che chiede “stop immediato e incondizionato” dei combattimenti.

La riunione è stata presieduta dall’egiziano Abdel Fattah al Sisi e questo è l’aspetto più interessante dietro alla dichiarazione: Sisi. L’Egitto finora è considerato il più attivo dei sostenitori di Serraj.

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