I neointermediari sono le nuove figure che stanno assumendo sempre più potere nel mondo digitale. Esistono due tipologie: i “grandi neointermediari” in riferimento alle piattaforme tecnologiche come Facebook e Google che attraverso algoritmi raccolgono le informazioni degli utenti e, sulla base di queste, personalizzano i contenuti e i “piccoli neointermediari” quali gli influencer che si inseriscono nei trend del dibattito pubblico. Quanto siamo consapevoli di questo fenomeno? Come si riflette nella comunicazione politica? Quali sono i rischi per la democrazia? Lo abbiamo chiesto a Gabriele Giacomini, ricercatore presso l’Università di Udine ed autore del libro “Potere digitale. Come internet sta cambiando la sfera pubblica e la democrazia”, in cui analizza queste tematiche.
Che impatto ha il digitale sulla comunicazione e sulla politica?
La disintermediazione ormai è un concetto mainstream, il digitale ha favorito lo scavallamento dei corpi intermedi così come li conoscevamo, oggi esiste la neointermediazione e se non riusciamo a cogliere questo nuovo tipo di intermediazione non possiamo capire quali sono i nuovi flussi di potere. Pensiamo a Facebook e Google che fanno una selezione utilizzando gli algoritmi, questo processo ha comunque un impatto sulle informazioni che riceviamo. Se analizziamo la politica vediamo che la partecipazione al voto dei cittadini è in calo da decenni così come la membership è sempre meno folta, quindi gli intermediari tradizionali come i partiti sono andati in crisi. In realtà sono emersi nuovi partiti che, come spiega Paolo Gerbaudo, vengono chiamati i partiti piattaforma che utilizzano il digitale come la piattaforma Rousseau. Non sono solo movimenti dal basso perché entrano in gioco anche i vertici come Beppe Grillo o Casaleggio, per esempio decidendo il momento opportuno di porre l’attenzione su determinati argomenti, così ad una spinta dal basso corrisponde una spinta dall’alto.
Come sta cambiando la comunicazione politica?
Nel modello di partito classico, la classe dirigente aveva contatto con i suoi militanti andando nei circoli e stabilendo un incontro diretto. Ora il rapporto si è un po’ indebolito mentre si è rafforzato quello con i media creando il fenomeno della “mediatizzazione” della politica. In realtà è un lavoro che non fanno i politici, soprattutto affermati, ma hanno uno staff dedicato alla comunicazione. La cosa interessante è lo studio dei propri interlocutori, cercano di capire quali sono i trend e gli argomenti più diffusi, e provano ad inserirsi in questi flussi per accompagnare il dibattito pubblico e farsi da megafono delle tendenze in atto. Raramente i social sono gestiti in modo diretto, c’è sempre una intermediazione delle strutture con due nuove figure di neointermediari: quelli piccoli rappresentati da social media manager o micro influencer e quelli più grandi riferiti alle big tech come Facebook o Google.
Quanto sono consapevoli i cittadini di essere passati ad una nuova forma di intermediazione?
Non tantissimo. Uno dei ruoli dell’informazione è la selezione, è un po’ la parte fondamentale del quarto potere. Questa selezione in ambito digitale viene fatta personalizzando il contenuto, su internet i comportamenti vengono profilati ed analizzati per offrire quello che piace affinché gli utenti rimangano sulla piattaforma il maggior tempo possibile. C’è una bolla informativa che tradizionalmente era più trasparente. Se una persona andava in edicola, pur comprando un certo tipo di giornale, si rendeva conto che esisteva una pluralità di informazione mentre su internet non si è più coscienti degli altri punti di vista. L’ambiente digitale non aiuta la consapevolezza di queste dinamiche.
Si sta verificando un po’ il contrario rispetto ad una rete aperta ed inclusiva?
Karl Popper diceva che se dobbiamo cercare la verità non dobbiamo avere delle conferme ma lo spirito giusto deve essere quello di raccogliere le informazioni che mettono in discussione il proprio punto di vista. Il rischio di internet è di non favorire il confronto critico, è il paradosso del pluralismo. Da un punto di vista quantitativo è positivo perché la gratuità di internet ha aumentato la partecipazione delle persone ma il pluralismo è anche qualitativo. Nel momento in cui ci si confronta non ci si chiude mai in se stessi e non si escludono gli altri ma si rimane in un ambito di concordia discordante. È un po’ lo spirito dei debunker, ovviamente non hanno le verità in tasca, ma cercano di smontare le bufale anche confrontandosi con gruppi polarizzati al loro interno. La cosa da sottolineare è l’etica, andare a misurarsi con chi la pensa diversamente da loro, con la possibilità di uscire dalla bolla informativa.
In prospettiva il modello sarà quello del partito piattaforma o di partiti tradizionali che si adattano al digitale?
I partiti tradizionali spesso usano il digitale come uno strumento di comunicazione tradizionale. Molti politici utilizzano le dirette Facebook come una televisione personale, con migliaia di telespettatori che seguono ed interagiscono con commenti e like. È un metodo molto usato da Matteo Salvini ma anche Matteo Renzi adottava una strategia abbastanza simile dove al centro c’è la figura del leader. Un’altra modalità riguarda i partiti piattaforma dove c’è il tentativo ideale o programmatico di coinvolgere i cittadini con risultati discutibili, per esempio una delle principali critiche è la partecipazione effettiva del voto espresso. In questi partiti piattaforma il vertice è altrettanto importante, nel M5S la figura di Beppe Grillo, che non a caso nasce come un personaggio televisivo che riempiva palazzetti dello sport con i suoi spettacoli, è stata fondamentale per garantire lo sviluppo del partito.
Quali sono i rischi principali?
Ne ho indentificati quattro. Il primo problema è l’insicurezza del metodo, quando votiamo con la carta banalmente i voti possono essere ricontati da chiunque e i partiti mandano i propri rappresentanti per controllare che la votazione sia regolare. Tutto questo su internet è impossibile poiché il controllo è affidato ad esperti e tecnici; tra l’altro sembra che per un principio informatico è impossibile garantire l’anonimato e la sicurezza contemporaneamente. Poi c’è il problema del digital divide, con il rischio di escludere coloro che non hanno la connessione, come gli anziani, o le competenze sufficienti per fare questo tipo di attività privandoli del diritto di partecipare. La terza difficoltà è di tipo psicologico-sociale, non è possibile pensare ad una partecipazione continua poiché come individui abbiamo molteplici impegni e la società va verso la specializzazione. L’ultimo problema è il superamento dei partiti, ci possono essere molte critiche ma quello su cui concordano tutti è che i partiti hanno capacità di sintesi e compromesso. In politica è una attività molto importante altrimenti, come diceva Ralf Dahrendorf, c’è il rischio che le difficoltà possano portare alla ricerca di un leader autoritario in grado di risolvere la situazione.