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Senza uno Stato centrale la Libia rischia l’effetto Somalia. Parla Farid Adly

haftar

Non una nuova Siria, ma una nuova Somalia, dove spicca l’assenza dello Stato centrale. Questo lo scenario possibile in Libia secondo Farid Adly, pseudonimo di Ibrahim Alì Kashbur, giornalista e scrittore libico, direttore di Anbamed notizie del Mediterraneo, servizio stampa bilingue italo-arabo, autore de La Rivoluzione libica, ed. Il Saggiatore (2014) e Capire il Corano, ed. TAM (2017).

Il giornalista ragiona con Formiche.net sulle prospettive della crisi libica e sulle responsabilità dell’Occidente, con all’orizzonte la bomba umanitaria che si può innescare da un momento all’altro.

In Libia si rischia una nuova Siria?

No, peggio ancora una nuova Somalia, senza alcuna prospettiva di uno Stato centrale. In Siria in qualche modo uno Stato rimane, anche se è una dittatura con enormi danni per il futuro del Paese. In Libia se questa escalation dovesse proseguire spiccherà lo scenario di una guerra permanente, con una distruzione continua delle infrastrutture. Quindi una strada senza ritorno per milioni di profughi che ci sono attualmente ai confini della Libia.

Il sostegno tecnico fornito da Parigi alle forze di Haftar in nome della lotta contro il terrorismo è divenuto nel tempo un appoggio politico?

Credo che il problema non sia solo quello, anche l’Italia fornisce aiuti alle milizie islamiste a Tripoli. Questa concorrenza italofrancese è dannosa ai libici e agli europei. La questione non è una gara tra Parigi e Roma. L’Italia ha fatto danni e dovrebbe provare a guardare verso interessi strategici e non solo verso interessi immediati. La politica estera italiana è da sempre stabile in un binario, per cui non solo questo governo ma tutti gli ultimi che si sono succeduti hanno seguito quello. L’attuale governo sta aggiungendo una continua accentuazione dello scontro con Parigi, che è strumentale per coprire i propri errori di scelte.

Anche riguardo ai due protagonisti in campo?

Chi sceglie una sola delle parti in Libia rischia di trovarsi con il cerino in mano, perché la situazione è complessa. Non si deve guardare alla Libia solo dal punto di vista petrolifero o migratorio, ma da un punto di vista di interessi generali della pace nel Mediterraneo. Una visione simile dovrebbe consigliare una maggiore attenzione ad una concordia tra le parti libiche e non lavorare perché ciò sia spostato in avanti. Vedo che né Italia né Francia lavorano in quella direzione, ma fanno una gara che potrebbe danneggiare strategicamente l’Ue e la Libia.

Dietro l’interventismo francese c’è il rischio di un’emergenza umanitaria?

In Libia questa esiste da molti anni, ci sono due milioni e mezzo di libici che vivono tra Tunisia ed Egitto. Non sono profughi perché semplicemente lo stato libico ha deciso, per una forma di welfare, di garantire gli stipendi a tutti i dipendenti statali anche se non vanno in ufficio. Significa che è stata garantita la possibilità a milioni di cittadini che non hanno più voluto restare nelle condizioni di guerra di poter andare in altri paesi, affittare una casa per vivere dignitosamente non da ricchi ma sicuramente non da profughi. E poi ci sono gli altri.

Quali?

Quelli che possono permettersi Roma o gli Emirati arabi e sono lontani. Nel momento in cui la situazione degenererà e la Banca centrale libica, con due governi, non avrà più la possibilità di pagare quegli stipendi, cosa accadrà? Quei due milioni e mezzo diventeranno profughi che né l’Egitto né la Tunisia avranno la possibilità di assorbire. Si tramuteranno in una bomba umanitaria che si può innescare da un momento all’altro a causa di chi non ha guardato alla Libia con una visione strategica.

Aggiungendosi alla situazione dei migranti africani in Libia che è già grave…

Non è solo la guerra a Tripoli. A Bengasi la città è distrutta con mezzo milione di sfollati che sono tali da un anno e mezzo, in assenza di una prospettiva di ricostruzione. Ecco la realtà libica che, essendo un paese petrolifero, qualcuno ha pensato fosse ricco. Non è così: i libici sono poveri nonostante le risorse petrolifere e come giustamente detto dall’inviato Onu Ghassan Salame si stanno ulteriormente impoverendo e i suoi studenti vanno a studiare nelle baracche. Una ricostruzione fedele alla realtà.

Che ruolo giocano le milizie a Tripoli?

Il dominio delle milizie su Tripoli è il drenaggio delle enormi risorse finanziarie: ha provocato come detto da Salame la nascita di un milionario (in dollari) al giorno, lì dove fino a pochi anni fa non c’era nulla. Le milizie che avrebbero dovuto proteggere il governo Serraj, in realtà lo ricattano, come anche le banche, ottenendo trasferimenti ingenti di denaro all’estero. Una corruzione capillare che danneggia i cittadini.

La soluzione?

Certamente non nelle armi di Haftar, ma occorre guardare alla Libia senza chiudersi nel dualismo con Serraj. C’è una società civile che è stata annientata, come la maggior parte degli intellettuali libici che sono all’estero, come in Italia, Egitto, Tunisia. I partiti che hanno vinto le elezioni, ma che non avevano milizie, sono senza voce.

Ha ragione chi pensa che la Libia non sia più un affare occidentale?

Gli interessi cinesi e russi in Libia sono enormi. Ma l’occidente fino ad oggi ha avuto l’egemonia in loco con le responsabilità assegnate dall’Onu. Penso anche al ruolo cruciale di un generale italiano in occasione dell’insediamento di Serraj. Uno schema che come si è visto non può andare avanti all’infinito. Il Consiglio di sicurezza si è affidato al libanese Salame dotato di lungimiranza, che ha proposto una soluzione per superare le contraddizioni, come un periodo cuscinetto. Ma le due parti non hanno voluto accettarla perché ciascuno intende escludere l’altro.

twitter@FDepalo

 



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