Servono 10 miliardi di euro di investimenti nei prossimi 15 anni per raggiungere gli obiettivi della Circular economy: 65% di riciclo e 10% in discarica al 2030 per i rifiuti urbani; occorrerà aumentare la raccolta differenziata fino all’80% e la capacità di riciclo di ulteriori 4 milioni di tonnellate; innalzare al 25% la valorizzazione energetica, limitando il conferimento in discarica. Per non perdere questa opportunità di crescita economica e di sostenibilità ambientale, occorre definire su scala nazionale una strategia che indirizzi, nella stessa direzione, il sistema pubblico e gli operatori privati. Sono questi i principali risultati emersi dal Rapporto “Per una Strategia Nazionale dei rifiuti”, presentato oggi a Roma da Fise Assoambiente, l’associazione delle imprese di igiene urbana, riciclo, recupero e smaltimento dei rifiuti urbani.
“Il nostro Paese – ha sottolineato il presidente di Fise Assoambiente Chicco Testa – necessita di una strategia di medio-lungo periodo per migliorare le attuali performance. Per fare economia circolare servono impianti di recupero di materia e di energia capaci di sopportare il flusso crescente delle raccolte differenziate e per sopportare le fasi di crisi dei mercati esteri. Serve una cabina di regia nazionale sotto il coordinamento della Presidenza del Consiglio con responsabilità condivise tra i ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico”.
In Italia si producono ogni anno (fonte Ispra) 135 milioni di tonnellate di rifiuti speciali e 30 milioni di rifiuti urbani, di cui vengono avviati a riciclo, rispettivamente, il 65% (92 milioni di tonnellate) e il 47% (15 milioni di tonnellate). Il settore della gestione dei rifiuti vale, nel nostro Paese, circa 28 miliardi di euro: 11,2 miliardi per quelli urbani; 16,9 miliardi per gli speciali. Secondo l’ultimo rapporto Istat, pubblicato a febbraio di quest’anno, il valore aggiunto generato dal settore delle “eco industrie” nel 2017 è pari a 36 miliardi (+ 0,9% rispetto al 2016) e pesa per il 2,3% sul valore aggiunto complessivo dell’economia del Paese. La Commissione europea prevede per questo settore un incremento dell’occupazione al 2030 di oltre 650mila posti di lavoro.
Secondo il rapporto, per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030, l’Italia dovrà: a) limitare l’import/export dei rifiuti che ne movimenta ogni anno 9 milioni e mezzo di tonnellate: una diseconomia che, per la carenza di impianti, produce una perdita di materia e energia; b) dotarsi di un sistema impiantistico adeguato: oltre 20 impianti per il riciclo, 22 impianti per il riciclo della frazione umida, 24 termovalorizzatori e 55 discariche; c) bloccare il cosiddetto “turismo dei rifiuti” tra le varie regioni per la cronica mancanza di impianti, soprattutto nel sud; d) ripensare le discariche, facendo riferimento solo a impianti moderni e sostenibili.
Lo studio, infine, evidenzia come, per raggiungere questi obiettivi, occorreranno anche strumenti economici a sostegno dell’utilizzo dei materiali riciclati (dando nuovo impulso al Green public procurement) e per l’uso di sottoprodotti e materiali end of waste, oltre a un quadro normativo chiaro per il settore (l’occasione da cogliere è il recepimento delle direttive sui rifiuti del pacchetto sull’Economia circolare), che semplifichi le procedure di autorizzazione, attragga nuovi investimenti che consentano la realizzazione degli impianti necessari.
Rispondendo ieri in Commissione Ambiente della Camera ad una interrogazione sulla carenza di impianti per la gestione dei rifiuti, presentata d alcuni deputati di Forza Italia, il sottosegretario all’Ambiente, Salvatore Micillo, ha evidenziato che “l’individuazione dei fabbisogni impiantistici è competenza delle Regioni che definiscono i flussi di rifiuti da trattare e scelgono in quali impianti inviarli. È sempre competenza delle Regioni approvare il Piano regionale dei rifiuti e autorizzare gli impianti di trattamento individuati. Sono di competenza del ministero le attività di indirizzo e formazione, volte a favorire l’economia circolare e il riciclo”. Ed è proprio a quest’ultimo punto che fa riferimento il rapporto, quando si chiede un coordinamento a livello centrale che coinvolga tutti gli attori Istituzionali e industriali per “rafforzare ulteriormente quello che già oggi è il principale distretto del riciclaggio d’Europa”.